festina_lente

Il valore della digressione

Un delfino che guizza sinuoso attorno a un’ancora e le parole festina lente componevano l’emblema di un grande tipografo veneziano del Cinquecento. L’emblema lo si poteva trovare stampato sul frontespizio delle ricche edizioni prodotte da quello che è considerato unanimemente il primo, e più grande, editore del mondo: Aldo Manuzio. Erasmo da Rotterdam volle pubblicare sempre e solo con lui. Le edizioni Aldine (da Aldo Manuzio) erano le più pregiate, poiché egli non badava al profitto ma alla qualità della sua produzione.

Festina lente è un motto attribuito all’imperatore Augusto dallo scrittore Svetonio. Fu pronunciato in realtà in greco (faceva fico, parlare il greco): spéude bradéos; festina lente ne è la traduzione latina. In italiano lo si può tradurre in: affrettati lentamente. Che è un modo per dire: procedi senza indugi ma con cautela.

Questo motto viene ripreso da Italo Calvino nelle Lezioni americane a proposito della rapidità:

«La grande invenzione di Laurence Sterne è stata il romanzo tutto fatto di digressioni; un esempio che sarà subito seguito da Diderot. La divagazione o digressione è una strategia per rinviare la conclusione, una moltiplicazione del tempo all’interno dell’opera, una fuga perpetua».

[Italo Calvino, Lezioni americane]

Calvino dà valore alla rapidità dell’esecuzione; egli considera un’opera ben riuscita come simile a una freccia: cioè, che punta dritto al bersaglio. La rapidità, per Calvino, è uno dei valori della narrativa nel nuovo millennio. Egli tuttavia confonde la rapidità con la brevità. Nell’estratto (la seconda lezione) elogia la tradizione della novella italiana e del racconto breve (short story) americano. E, per sottolineare il concetto, ci regala una favola:

In tarda età l’imperatore Carlomagno s’innamorò di una giovane contadina tedesca. Ne perse così tanto la testa che i baroni e i dignitari della sua corte se ne preoccuparono molto. Quando improvvisamente la ragazza morì, i dignitari trassero un respiro di sollievo; l’amore di Carlomagno, però, non morì con lei, tanto che ordinò di trasferirne il cadavere imbalsamato nella sua stanza. L’arcivescovo Turpino, spaventato da questa macabra passione, sospettò un incantesimo. Volle esaminare il cadavere e, frugando col dito sotto la lingua della morta, trovò un anello. Nel momento in cui l’anello fu nelle sue mani, Carlomagno s’affrettò a far seppellire il cadavere. Tuttavia la sua passione si riversò sulla persona dell’arcivescovo. Turpino, per fuggirne, gettò l’anello nel lago di Costanza. Carlomagno s’innamorò del lago e non volle più allontanarsene.

Il riadattamento è mio, ma questa favola, nei secoli, è stata ripresa praticamente da tutti. Una versione ne viene attribuita perfino al Petrarca. Perché questa favola piace tanto a Calvino? Perché è breve; mira dritto al bersaglio; si risolve in pochi giri di parole con una successione di avvenimenti concatenati fra loro. Naturalmente il perno di tutto il meccanismo è l’anello incantato. A tenere insieme la catena c’è un legame verbale fortissimo: la parola «amore» o «passione». Tutto ciò che non viene detto è superfluo e non farebbe che allungare il brodo rompendo il meccanismo. In questo, per Calvino, sta il segreto della narrativa nel nuovo millennio. Nelle varie versioni che nei secoli si sono succedute, alcuni punti erano stesi per varie pagine in base agli umori e alle mode del momento. Nel nuovo millennio la tendenza, per Calvino, è eliminarne tutto il superfluo per lasciare esposta solo la struttura: cioè, il concatenarsi rapido degli eventi. Potremmo quasi affermare che il modo in cui veniva di volta in volta riscritta questa favola, indicava un parametro piuttosto attendibile dello stile scrittorio più in voga al momento.

Non è mia intenzione contraddire Calvino, di cui anzi condivido il pensiero. Non a caso il mio adattamento è breve, snello, efficiente. Tuttavia, in letteratura, c’è un altro modo di intendere la rapidità come valore narrativo. Lo stesso Calvino, nelle sue lezioni, come avete letto, non dimentica di citarlo: la digressione. Egli stesso afferma:

«Nella vita pratica il tempo è una ricchezza di cui siamo avari; in letteratura, il tempo, è una ricchezza di cui disporre con agio e distacco. […] La rapidità dello stile e del pensiero (poiché in letteratura sono strettamente concatenati, ndr) vuol dire soprattutto agilità, mobilità, disinvoltura; tutte qualità che s’accordano con una scrittura pronta alle divagazioni, a saltare da un argomento all’altro, a perdere il filo cento volte e a ritrovarlo dopo cento giravolte».

La digressione, perdere il filo cento volte, è il valore della letteratura postmoderna (ve ne parlerò meglio quando avrò finito L’arcobaleno della gravità). Tuttavia la digressione associata a uno stile capzioso, prolisso, forma un mattone difficile da digerire. Come certe pizze mal lievitate, che continuano a crescere nello stomaco durante la notte… La digressione va associata, invece, a uno stile snello, strutturale, rapido. Ad essere esposta dev’essere l’ossatura della storia, con tutti i suoi concatenamenti e artifici. Solo con uno stile rapido possiamo risparmiare il tempo da spendere nelle digressioni. Vi lascio ancora con Calvino:

«[…] non si tratta di arrivare prima a un traguardo prestabilito; al contrario l’economia di tempo è una buona cosa perché più tempo risparmiamo, più tempo potremmo perdere».

Negli esercizi di scrittura come Lavanderia a gettoni e Il canone si vede, il mio tentativo è di prendere confidenza con uno stile asciutto (fin troppo, forse), che esponga solo l’essenziale, togliendo tutto il resto. Questo venerdì, invece, adatterò questo concetto della rapidità a uno stile più classico, meno d’avanguardia. Mi direte poi se il risultato è maggiormente apprezzabile.

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Note

Italo Calvino, Lezioni americane, Mondadori – 2000

33 Comments on “Festina lente”

  1. Nooooo, mi ha perso il lungo commento che avevo scritto!!!
    Vabbè tanto erano solo fesserie sulla mia scoperta del racconto americano e sul mio amore per i racconti di fantascienza.
    Ma tornando al tema, anzi, divagando, lo sai che quando ho letto della digressione la parte matematica della mia mente ha iniziato a dividere in due un segmento (ad esempio quello temporale della narrazione) e poi a dividere ogni metà in due e così via all’infinito creando la struttura di un racconto frattale? 😛

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    • Nooooooo adesso lo scrivi per intero tutto a memoria! Su, forza. XD

      Cioè sei partito partito da una funzione matematica per arrivare al racconto frattale, o sei partito dal racconto frattale per giungere alla funzione matematica? Mi ricorda qualcosa tutto ciò… 😉

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      • Veramente io non ho ancora capit se è nato prima l’uovo o la gallina, figuriamoci il racconto frattale 😀
        Comunque no, sono partito proprio dal segmento e poi ho pensato ad esempio ad un’azione elementare, chessò, preparare il caffà (che la mattina è stata la prima cosa a venirmi in mente) e mentre il protagonista preapara il caffè vai con la prima digressione e poi nella digressione ne fai partire un’altra, e così via, probabilmente viene una roba illeggibile, ma magari poi passi alla storia come un moderno (anzo post-) Joyce 😛

        P.S. il commentu super lungo lo conservo per la prossima volta 😉

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        • È nato sicuramente prima l’uovo covato dal dinosauro! … poi la gallina, con le sue uova. Poi l’uomo, che però ha smesso di covare e a iniziato ad allevare i bambini e a mangiare le uova. Infine è arrivato l’uomo nero (chiara evoluzione dell’homo sapiens sapiens) che i bambini, anziché allevarli, li mangia. Ecco un esempio di racconto frattaglia… XD

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  2. Anche il mio stile si sta asciugando.
    Questa frase sostituisce quella scritta due secondi fa: anche io sto asciugando lo stile.
    Non è vero. è il mio stile che evolve spontaneamente, seguendo la mia naturale evoluzione.
    L’abuso di parole è legato all’insicurezza dell’autore, che non ha il coraggio di scegliere quelle giuste. Quando leggo certi vecchi brani, mi viene spontaneo sfoltire e tagliare. L’energia del testo così cessa di disperdersi, e si concentra tutta in un unico punto, con maggiori probabilità di toccare il cuore dei lettori.

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    • Potrebbe essere un’interpretazione corretta, quella legata all’insicurezza dell’autore. Tuttavia ci sono autori, come ad esempio Thomas Pynchon, che fanno della digressione prolissa un arma ben affilata, con cui il lettore è costretto a confrontarsi per giungere al senso vero del testo. Come sempre: non esistono gli errori, è tutta una questione di consapevolezza. Se fai una cosa con consapevolezza, allora non è un errore. Se la fai senza sapere cosa stai facendo: allora è un errore. 🙂

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  3. “Più tempo risparmiamo, più tempo potremo perdere”: grande Calvino, bel post e anche bei commenti. Interessante il “racconto frattale” di Grilloz, mi ha scatenato una serie di idee…
    Certi grandi, come Joyce, padroneggiano così bene l’uso della “rapidità” e della “lentezza” che la usano ad esempio per trasmettere la sensazione di noia di certe situazioni allungando appositamente il testo che poi torna asciutto quando la trama deve galoppare. I post come questo servono anche a capire queste tecniche, grazie Salvatore.

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      • Eh, ho poco tempo per spiegare ma mi ha sempre affascinato la presenza di messaggi sottotraccia nei libri, del tipo la struttura fatta in un certo modo, i titoli dei capitoli che letti di seguito formano una frase di senso compiuto ecc., tutte cose di cui il cervello si accorge nel profondo, non subito, e Grilloz mi ha fatto pensare a una struttura simmetrica-armonica (lunghezza dei paragrafi, diramazioni della trama). Mi chiedevo se inconsciamente riusciremmo a percepirne l’armonia “frattale”, leggendo. Un lavoro simile sulla struttura l’hai fatta nel racconto dello swing, con il “tre” ricorrente, i tempi verbali “inversi”, ecc.: creava un vortice inaspettato. Cose di questo genere, insomma. Lo so, sono un po’ matto. 🙂

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  4. Ma che belli questi commenti fra frattaglie e frattali!
    Per le digressioni dipende. Ci sono storie che devono andare dritte al sodo, in cui ogni divagazione è un’inutile lungaggine e storie che sono divagazioni, che nona avrebbero senso senza. I gialli di Fred Vargas, ad esempio, non avrebbero la loro ragion d’essere senza gli ondivaghi pensieri del protagonista. A lettura finita magari non ci si ricorda neppure chi era l’assassino, ma, che so, della storia del pesce preistorico rimasto imprigionato nel lago fatto di acqua antica…

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    • Qui: solo lettori (e commentatori) di qualità! 😉

      Vargas non l’ho mai letto, ma da come lo presenti devo assolutamente rimediare. Mi suggerisci un titolo?

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      • La seconda trilogia di Adamsberg, che raccoglie tre romanzi. Non sono i primi, ma secondo me i migliori, sono relativamente autoconclusivi, quindi si possono leggere anche prima dei precedenti.

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