Bart-lavagna-caporali

Fondamenti di grammatica per aspiranti scrittori

Finalmente, la volta scorsa, avete trovato soddisfazione nella vostra curiosità circa il punto e virgola. Tuttavia ci sono segni paragrafemici molto più importanti di quelli sintattici: esistono, infatti, le virgolette, i trattini, le parentesi (tutti i tipi di parentesi), l’apostrofo e, infine, l’asterisco. Non so se riusciremo a vederli tutti oggi… ma, fidatevi, molti di questi segni non li conoscete quasi per nulla: eppure li usate lo stesso!

Virgolette

Servono a riportare una parola o un discorso diretto altrui, o per contrassegnare un uso particolare di una qualsiasi espressione: allusivo, traslativo, ironico… Se ne distinguono tre varianti: quelle basse, cioè le «caporali»; quelle alte, cioè le virgolette, e, naturalmente, gli ʻapiciʼ. Il Serianni ci tiene a ricordarci che nella scrittura a mano si tende a usare essenzialmente le virgolette alte.

Concorre con le virgolette l’uso del corsivo: se si usano le virgolette (di qualsiasi forma), non si usa il corsivo e viceversa. Il corsivo, in questo contesto, si usa generalmente per le parole straniere (se si ritiene di non tradurle) e le citazioni dialettali inserite in un testo scritto in italiano.

La scelta fra i vari tipi di virgolette dipende essenzialmente dalla tradizione tipografica. Le più adoperate sono in genere quelle basse (le «caporali»), ma entrambe le coppie tornano utili per le citazioni interne a un discorso diretto: «chiamò subito: “Perpetua! Perpetua!”, avviandosi pure verso il salotto» [Manzoni, I promessi sposi]. Gli apici si usano solitamente per sottolineare una singola espressione: «Oggi non si può più parlare di ʻcapitalismoʼ in senso classico», o per qualificare un significato: «In Dante, donna vale ʻsignoraʼ e ʻfemmina dell’uomoʼ» [entrambi gli esempi, del Serianni].

Oltre questo, è una questione di gusti. Personalmente preferisco usare le caporali per il discorso diretto, le virgolette per sottolineare un uso particolare (allusivo, traslativo o ironico) di un’espressione e, occasionalmente, gli apici per le citazioni all’interno del discorso diretto. Einaudi, ad esempio, e voi sapete quanto ami i loro libri, tradizionalmente preferisce il trattino lungo alle caporali. Questo, e me ne rammarico moltissimo, è l’unica pecca che mi sento di muovere alla loro tradizione editoriale.

Trattino

Di lineette ce ne sono due tipi: e —. Il più lungo si usa solitamente per introdurre un discorso diretto; in genere adoperandone solo uno: «Diceva: — Voialtri non sapete stare a tavola! Non siete gente da portare nei loghi!» [Ginzburg, Lessico famigliare]. Il trattino di chiusura, in un discorso diretto, compare solo quando al discorso segue una didascalia: «— Sì, sì, — promise mio padre e in quello stesso istante si levò e andò alla poltrona» [Svevo, La coscienza di Zeno].

«Davanti al trattino di chiusura vanno collocati il punto interrogativo, il punto esclamativo e i puntini; meno stabile la posizione degli altri segni interpuntivi» [Malagoli]. Anche la collocazione dei segni sintattici, rispetto alle virgolette e ai trattini, tuttavia dipende molto dai gusti e dalle tradizioni tipografiche.

Un’altra funzione svolta dal trattino lungo è quella di introdurre un inciso: «Un atto di guerra, chi lo subisce ha il diritto — anzi, secondo Sant’Agostino, il dovere — di rispondere con la guerra» [Gambino, L’Espresso 04.05.1986 – tratto dal Serianni]. Gli incisi — soprattutto quelli che devono essere notati — preferisco metterli tra due trattini lunghi piuttosto che tra due virgole (peggio ancora: due parentesi tonde). Anche in questo caso, come ormai avete capito, è tutta una questione di gusti.

Il trattino breve si usa per indicare un a capo (nella scrittura a mano si usa perlopiù =) e per sottolineare il legame esistente tra due membri di un composto dove non è ancora stabile l’univerbazione: socio-linguistica, mini-bus, eccetera. Tuttavia, dice il Serianni, non c’è una regola che indichi quando e dove introdurlo codesto benedetto trattino (a differenza dell’inglese, in cui la regola è incisa sulla pietra). Quindi se avete il dubbio che si scriva: auto-pubblicazione o autopubblicazione, scrivetelo un po’ come vi pare.

In genere l’univerbazione presuppone che le due parti siano strettamente fuse e che i parlanti non ne percepiscano più il carattere analitico: capostazione, francobollo, palcoscenico, capobanda, ecc. Fino a metà Ottocento questi vocaboli si scrivevano tutti con il trattino o staccati.

Casi in cui ricorre maggiormente l’uso del trattino breve:

  • Per separare due cifre: «ho guardato le mail 7-8 volte questa mattina», anche quando sono scritte in lettere: «dista un venti-venticinque chilometri».
  • Tra due nomi, perlopiù propri, per indicare un qualsiasi rapporto di relazione: «il summit Regan-Gorbaciov», «la legge Rognoni-La Torre», «le relazioni USA-URSS», eccetera.
  • In coppie di aggettivi giustapposti, dei quali il primo è sempre maschile singolare: «le iniziative economico-finanziarie», «gli aspetti linguistico-filosofici», ecc.
  • Con alcuni prefissi, specie se usati in composti occasionali: «nessun candidato anti-Martinazzoli tra i deputati DC», «dai movimenti anti-apartheid», ecc. Alcuni di questi composti hanno trovato una forma stabile: antiaerea, anticomunismo, antifascismo, ecc.
  • In coppie di sostantivi giustapposti: guerra-lampo, anni-luce; o di sostantivi-avverbi: la Milano-bene, ecc.
  • Nel linguaggio scientifico, quando si susseguano due parole composte che abbiano in comune il secondo elemento; in questo caso la parola iniziale, per esigenze di brevità, può ridursi al primo elemento seguito dal trattino: «nel caso di epato- e nefropatie gravi» (= di epatopatie e nefropatie).

«Questo procedimento, che in italiano è eccezionale (e comunque non va esteso al di fuori del settore tecnico-scientifico), è invece corrente in tedesco, lingua ricchissima di parole composte» [Serianni].

Conclusioni

Ci siamo dilungati parecchio questa volta, quindi mi fermerei qua. Rimando al prossimo mini-ripasso l’uso delle parentesi, dell’apostrofo e dell’asterisco. Per domande e delucidazioni: sono a disposizione… Tenete tuttavia conto che è quasi Natale e che per tutti — Voi soprattutto —, in questo periodo dell’anno, i sentimenti e le reazioni dovrebbero tendere al buonismo dolciastro.

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Note:

Luca Serianni, Grammatica italiana, UTET universitaria, 2006.

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47 Comments on “Apici e caporali”

  1. A me invece i caporali stanno un po’ antipatici, mi ricordano quando ho fatto il soldato 😀 preferisco i trattini 😉
    Una domanda però sui dialoghi, come si fa quando all’interno di una battuta si deve andare a capo?

    P.S. “è invece corrente in tedesco, lingua ricchissima di parole composte” se n’è accorto anche il Serianni 😀

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    • Per rispondere alla tua domanda: dipende. Nel senso che ogni scrittore fa un po’ quello che gli pare. Ci sono scrittori che vanno a capo senza inserire nuovamente le interpunzioni che indicano un discorso diretto e in questo caso diventa per il lettore un po’ difficile seguire il discorso; altri che ogni volta che vanno a capo inseriscono nuovamente i segni paragrafemici di “cortesia” (come li chiamo io), ma anche in questo caso si rischia di creare confusione. In generale, la maggior parte degli scrittori contemporanei, per evitare questi due pericoli, preferiscono non inserire un dialogo così lungo da meritare un a capo. Nel caso in cui sia necessario che uno dei personaggi parli a lungo, si può interrompere il discorso diretto con uno scambio di battute o una didascalia. Ho risposto? 🙂

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      • E’ un caso abbastanza raro. In un libro usava, non ricordo bene, i caporali per i dialoghi e il trattino quando andava a capo o viceversa. Diciamo che per il lettore così era abbastanza chiaro, ma poco elegante esteticamente.

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          • più che confusione fastidio, però era chiaro l’uso.
            Da qualche parte ho visto anche una cosa del genere, a proposito di “fastidio”
            «correte – disse – fate presto!»

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            • Sì, l’ho visto anch’io e anche in questo caso non ne comprendo la ragione. In questo modo si stanno usando due diversi segni paragrafemici per lo stesso scopo. Ti mostro come lo scriverei io: «Correte!» disse, «fate presto». Ritengo che, così, sia anche più elegante.

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          • In realtà, stavo pensando, che il problema si pone solo con l’uso del trattino, perchè con le virgolete (alte o basse che siano) si può sempre fare così:
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            • Infatti la maggior parte dei romanzi un po’ datati usa fare proprio questo (anche con i trattini); oggi si tende a evitarlo. Il dialogo è una dilatazione del tempo che per sua natura deve trasmettere dinamicità al testo; che senso ha, quindi, inserire un dialogo così lungo da meritare uno o diversi a capo?

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              • Ad esempio in un discorso pubblico di un personaggio, o quando a parlare è, ad esempio, la radio o la televisione. Oppure quando il nonno racconta la fiaba ai bambini. Sono casi rari, ma possono capitare.

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                • Che è l’uso tradizionale, ma in questo caso il discorso diretto perde tutta la sua dinamicità, diventando statico e piatto. Oggi, tranne in rari casi, non si usa più. Se poi devi simulare il discorso di un pretore romano davanti a una folla, ci può stare; ma sono usi specifici, che il contesto giustifica automaticamente.

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    • Per andare a capo nei dialoghi, che si usa solo quando un personaggio ha la logorrea, si usa non mettere la caporela di chiusura a fine frase e mettere quella di apertura a capo. Così:
      «Inizio dialogo logorroico che avanti per 12 righe.
      «Continua il dialogo logorroico e finisce dopo altre 14 righe.»

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  2. Anch’io preferisco i caporali rispetto ai trattini, peccato che nella tastiera italiana non esistono e bisogna ricorrere ad artifici, inserendo il simbolo al posto dei segni <>.
    Mi chiedo quindi perché mi ostino a fare tanta fatica e non uso semplicemente il trattino.
    🙂

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    • In realtà neanche il trattino esiste sulla tastiera, c’è solo quello corto 😛
      Io me la sono cavata con un paio di regole di correzione automatica 😉

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    • Giulia, se inserisci questo segno “<" al posto di questo “« »” stai commettendo un errore che ritengo grave. Qualsiasi casa editrice è autorizzata a bastonarti. Per quanto riguarda la fatica, con Word puoi attribuire caratteri speciali alle combinazioni di tasti: a seconda della versione, devi andare su inserisci + simbolo + altri simboli + tasti di scelta rapida. Una volta programmata la combinazione, rimane per sempre. Su Mac, invece, è più semplice: command + 1 per questo “«”; command + alto + 1 per questo “»”. Mi raccomando… 😉

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