Gerhard Richter

Manifesto artistico

Lasciandomi trasportare dall’intelligente analisi di Zygmunt Bauman sul postmoderno – lettura che consiglio a quanti coltivano interesse verso il tema specifico – inizialmente pensavo che un romanzo postmoderno fosse una narrazione in forma scritta che desse risalto all’incertezza della società contemporanea; fosse, cioè, un approccio di tipo contenutistico. Ma nel postmoderno, la forma si è fatta contenuto.

La società postmoderna: differenze

Secondo Bauman, la società postmoderna si distingue da quella moderna – da cui si origina – per un differente approccio ai temi di sicurezza, libertà e identità. Se nell’epoca moderna l’attenzione alla sicurezza personale aveva una maggiore prevalenza rispetto alla sensibilità sulla libertà personale, e i regimi totalitari ne sono la massima conseguenza, nell’epoca postmoderna il valore della libertà individuale è fondamento assoluto, tanto che si vorrebbero abbattere i governi, le barriere, i confini. Espressione di questa nuova sensibilità è il tema dell’immigrazione affrontato nei termini di: siamo tutti uguali.

Allo stesso modo, il tema dell’identità nel postmodernismo ribalta i cardini su cui era arpionato. Nell’epoca moderna la certezza della propria identità era un pilastro imprescindibile, dimostrazione della quale sono gli album di famiglia, ad esempio, e gli alberi genealogici. In epoca postmoderna, invece, non importa più chi siamo, da dove veniamo, ecc.; ciò che è fondamentale è la capacità di possedere un’identità sempre cangiante, in grado di adeguarsi al rapido evolversi dei tempi e delle mode. Sempre diversi, mai uguali. Senza un passato e con la testa perennemente rivolta a un futuro che, però, non è remoto, cioè un costruire per le prossime generazioni; ma un divenire rapidissimo, da usufruire immediatamente per poi passare ad altro. La cui estrema conseguenza è l’individualismo imperante.

Una formula che esclude il contenuto

Dicevo, inizialmente ero convinto che un romanzo postmoderno dovesse avere un approccio di tipo contenutistico, ma ero in errore. In un romanzo postmoderno è proprio il contenuto a non avere più alcuna importanza.

In un mondo in cui l’usufruitore è assuefatto alla multimedialità, la narrazione nuda di una storia, fosse anche con il supporto dell’intreccio, non è più sufficiente a trasmettere senso. Oggi il lettore medio – ma anche il lettore forte – è abituato a relazionarsi con la televisione, il cinema, i videogame, il 3D, internet… come può una storia narrata in forma scritta essere ancora efficiente nel trasmettere senso?

Il romanzo classico era la narrazione in forma scritta di una storia raccontata attraverso l’ausilio dell’intreccio. Poiché le storie sono “finite”, cioè il loro numero è limitato e anche piuttosto ristretto, è il punto di vista da cui si decide di osservare la storia, il taglio di cui si vuole dotare la narrazione, ad assumere significato e originalità. L’intreccio adempiva a questo compito.

Già in epoca moderna, però, si era capito che esso non era più sufficiente. Non bastava più il semplice intreccio; serviva uno stile che contribuisse ad accentuare il taglio del punto di vista. In epoca moderna nasce così lo stile come lo si intende oggi: non fine a se stesso, ma portatore di senso. Se si legge, ad esempio, Paolo Volponi, si intuisce subito che la scelta della prima persona narrante non è fine a se stessa, ma necessaria. Stile e intreccio si sostituiscono in parte alla storia per permettere al lettore di identificarsi maggiormente con quanto gli viene narrato. Esso serve a farlo “calare” all’interno della storia; un po’ come avviene per il cinema.

Ma in un mondo in cui si è visto e fatto tutto; un mondo in cui l’unico approccio possibile è di tipo superficiale – perché, come dice Baricco, non si possono leggere tutti i libri scritti nel mondo e in ogni epoca –; un mondo in cui anche l’arte ha perso il contatto con lo stile perché un computer e una stampante 3D posso creare oggetti perfetti come nessuna mano umana è in grado di fare; in un mondo così, anche il contenuto evapora e con esso l’intreccio e lo stile.

Il romanzo postmoderno

Il romanzo postmoderno, quindi, è una narrazione dove a contribuire per trasmettere senso interviene anche il supporto su cui la narrazione è fissata. In molti romanzi postmoderni l’autore inserisce all’interno del proprio libro: documenti ufficiali, ad esempio, o ritagli di giornali (La nave di Teseo – J.J. Abrams), o linee e simboli come fa Laurence Sterne (Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo); oppure formattazioni diverse e caratteri dal formato differente (letteratura ergodica); diversi stili narrativi nello stesso testo… Il romanzo, cioè, non è più limitato alla narrazione di una storia, ma tutto contribuisce alla sua narrazione.

Se pensate a Moby Dick, alla Ricerca del tempo perduto, all’Ulisse, a Infinite Jest, eccetera, noterete che i romanzi di “passaggio” acquistano dimensioni sconcertanti. E non sono mai veramente finiti. Risultano sempre incompleti, come se la completezza fosse essa stessa un retaggio del passato: un errore di cui liberarsi. In un’epoca dove non conta l’identità, ma il cambiamento, finire qualcosa è un errore.

Nell’Ulisse, Joyce cambia continuamente stile narrativo, perché un solo stile non sarebbe sufficiente. In Moby Dick, Melville inserisce un’intero trattato sulla caccia alle balene. Infinite Jest è un film che non ha mai fine. La Ricerca del tempo perduto è un romanzo che si dipana in sette volumi con una prosa fatta di periodi lunghissimi ed è finito solo perché a un certo punto il suo autore, Proust, muore…

Nel romanzo postmoderno, quindi, la storia è soltanto lo sfondo su cui si muove e avviene qualcos’altro. Ed è questo “qualcos’altro” a creare e trasmettere senso.

Un approccio personale

Sul romanzo che non sto ancora scrivendo, perché esito, il mio approccio vuole essere di questo tipo, ma in una forma differente rispetto al passato.

Provate a immaginare una sinfonia. Una sinfonia, come la immagino io, è composta da una base ritmica, ripetitiva; una melodia, che, attraverso il cambiamento, si evolve e si trasforma; e una variazione sinfonica, che cambia al cambio di voce. La sinfonia perfetta non ha mai fine.

La struttura del mio romanzo, quello su cui ancora non sto lavorando perché esitando rifletto, simulerà una sinfonia. Avrà, cioè, una base ritmica e ripetitiva (la ripetizione, soprattutto ossessiva, è uno degli elementi fondanti del romanzo postmoderno), che ne sarà la struttura portante; una melodia che si evolve all’infinito: la storia; e uno stile che cambierà al cambio di punto di vista: ogni personaggio, cioè, contribuirà alla narrazione attraverso il suo punto di vista, ma lo farà con il proprio stile, con la propria voce.

La storia sarà semplice, quasi banale, perché, per essere usufruita dal lettore medio, non può essere complessa e l’intreccio si adeguerà di conseguenza. Ma non sarà la ripetizione ossessiva di un solo avvenimento narrato da diversi occhi, tentativo già effettuato ad esempio da Iain Pears; ogni personaggio narrerà un pezzo di storia che, come il tassello di un puzzle, contribuirà a creare la melodia cangiante attraverso la variazione sinfonica. Diversamente da Don Delillo, però, non sarà un insieme di storie, ma un’unica storia.

Questo è il manifesto artistico della mia estetica. Un progetto letterario per il futuro.

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Note:

Zygmunt Bauman, La società dell’incertezza, il Mulino – 2014

Paolo Volponi, La macchina mondiale, Einaudi – 2013

Iain Pears, La quarta verità, Longanesi & C. – 1999

Alessandro Baricco, I barbari, Fandango – 2006

Don Delillo, Underworld, Einaudi – 2012

L’uso del termine “romanzo postmoderno” è volutamente improprio. I romanzi: Moby Dick, Alla ricerca del tempo perduto, Ulisse, Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo, eccetera, non possono essere propriamente definiti  “postmoderni”, in quanto  non lo sono (Laurence Sterne, ad esempio, è considerato il capostipite del romanzo moderno); piuttosto una tappa nel lungo percorso. Sono cioè romanzi di rottura con il passato. Tuttavia, leggerli è essenziale per intuirne la direzione. Al momento escludo invece, con consapevolezza, il romanzo postmoderno per eccellenza: l’Arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon.

I due quadri sono di Gerhard Richter: la sfocatura non è un difetto.

46 Comments on “Il romanzo postmoderno”

  1. Mi sono fermato all’immagine di copertina 😀
    No scherzo, ho letto tutto,
    “In un romanzo postmoderno è proprio il contenuto a non avere più alcuna importanza”, ecco questo è secondo me il punto cardine, il succo in qualche modo, ma anche il pericolo pià grosso. Il lettore mediocre, come sono io, si ferma su due aspetti di un libro: trama e “stile”, messo volutamente tra virgolette perchè il lettore mediocre, come sono io, per stile si ferma a distinguere scorrevole/noioso. Il rischio sta proprio qui, a mio avviso, se togli il contenuto (o meglio lo privi di importanza) e lo “stile” diventa un mezzo espressivo che varia col punto di vista, il pericolo è quello di fare un gioco academico (contrasto voluto ;)) in cui resta qualcosa di bello e perfetto ma privo di sapore (sapore messo lì apposta per legarmi alla frase successiva).
    Per fare un esempio culinario guardiamo alla cucina moderna, dove la presentazione del piatto diventa più importante del suo contenuto. Ma alla fine se non riesci a ottenere un sapore (appunto) che soddisfi il palato cosa resta di tutta la presentazione perfetta? un piatto sporco 😛
    Quindi, idea interessante 🙂 difficile da realizzare 😉 in bocca al lupo (aspetto di vederlo pubblicato da Einaudi).

    P.S. interessante l’idea della sinfonia, l’incompiutezza è un po’ anche il mio pallino, quando dipingo non arrivo mai alla compiutezza, c’è un livello oltre il quale non oso andare, guardo il quadro, ancora non perfetto, e mi dico, ora basta. L’idea della base ritmica mi piace, sto pensando come applicarla ad un quadro 😉
    P.P.S. eh, siccome sono un ingegnere però avrei bisogno di un esempio, ma almeno un raccontino postmoderno non ce l’hai nel cassetto?
    P.P.P.S. (e poi mi fermo) ma postmoderno non è già un po’ vecchio? Il postmodernismo è roba dl secolo scorso, no? (mannaggia a chi ha inventato il termine arte moderna :D)

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    • Spero che Salvo mi perdoni l’intromissione, ma quando si parla di post-moderno ho difficoltà ha stare zitta. La rarefazione del contenuto secondo me può avvenire a vari livelli e, per rendere il romanzo post-moderno, deve coniugarsi ad altri elementi. Un filo conduttore deve esserci, perché si possa parlare di romanzo. “Il tempo è un bastardo” secondo me è l’emblema della letteratura post-moderna, ma la storia non viene meno. Idem in un romanzo come “Rekjavik cafè”, in cui la trama è assolutamente irrisoria. 🙂

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      • Se non ti perdona lui ti perdono io 😛 che poi per cosa dovresti farti perdonare? Io sono aperto a qualsiasi contenuto che possa farmi imparare qualcosa 😉 (e non dimanticare che sono ing, parto da basi mooolto basse 😀 la letteratura l’ho studiata solo al liceo, puoi immaginare come :P)

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        • A proposito d’essere ingegneri: sei bravo in matematica? Avrei bisogno di un consiglio per la struttura del romanzo e, temo, è un problema proprio di natura matematica. Preferirei, però, parlartene in privato. Puoi scrivermi una mail, se sei interessato?

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      • Non hai nulla da farti perdonare, Chiara, perché sei puntuale nella tua precisazione. Anche tu anticipi il tema del prossimo post, programmato per il mercoledì della prossima settimana, e hai ragione a sostenere che esistono vari livelli: un romanzo postmoderno può essere realizzato in molti modi che dipendono dalla sensibilità dello scrittore, cioè da ciò a cui egli tiene sottolineare. Condivido, come dicevo nella mia risposta a Grilloz, l’importanza di un contenuto. Infatti, se noti, i quadri che ho scelto di Richter hanno comunque un soggetto, per quanto sfumato. Di suo avrei potuto scegliere dei quadri perfettamente Espressionisti… la consapevolezza fa la differenza. 😉

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    • Bravo Grilloz!, hai anticipato i temi del prossimo post (già programmato), in cui analizzerò Se una notte d’inverno un viaggiatore, ponendo l’attenzione proprio su quello che dici tu a proposito di contenuto (quindi hai una settimana di tempo per leggerlo se non l’hai mai letto, e per rileggerlo se lo hai letto tempo fa). Condivido la tua opinione, peraltro, sul contenuto e considero il concentrarsi esclusivamente sulla struttura: un limite.

      … ma ne riparleremo.

      Sì, ho un racconto pronto che simula (alla lontana) quello che intendo con postmoderno ed è in programma proprio per questo venerdì. 🙂

      Hai di nuovo ragione e sei perfettamente puntuale (anzi un po’ in anticipo) a individuare nel postmoderno una stanchezza data dall’età. Infatti si sta entrando nel nuovo realismo o, come preferisce chiamarlo il suo ideatore, il filosofo Maurizio Ferraris, con cui ho studiato quindici anni fa Estetica a Palazzo Nuovo (l’università di Torino): “new realism”.

      La sfida non è tanto scrivere un romanzo postmoderno, ma scrivere un romanzo postmoderno che chiuda il periodo del postmodernismo per aprire a quello del nuovo realismo. Sono un tipo ambizioso? 🙂

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      • Se una notte d’inverno è uno dei miei romanzi preferiti 😉 aspetto l’analisi, ma a sto punto mi è venuto inmente che forse è post moderno anche un’altro dei miei romanzi preferiti, almeno in parte: la storia infinita, lì l’autore gioca coi colori del testo, che variano coi punti di vista, gli da una struttura matematica/geometrica in qualche modo, ogni capitolo inizia con una lettera dell’alfabeto, lettera tra l’altro che appare “miniata” e credo anche, ma qui dovrei rileggerlo, che Ende vada oltre il contenuto che vi legge un ragazzino (così com’ero io ai tempi).

        P.S. io andavo in corso duca 😉 però palazzo nuovo so dov’è 😉

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        • Ricordo bene il film, ma non ho mai letto il romanzo (non sapevo neanche che fosse tratto da un romanzo). Tieni conto che l’importanza della struttura e tutti i vari “giochi” metatestuali che posso essere fatti con un romanzo non sono un’esclusiva del postmoderno, ma anche del modernismo. 🙂

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  2. Post interessante, senza dubbio. Mi permetto però di fare qualche precisazione. La categorizzazione di un romanzo come post-moderno non può scindersi dalla definizione che i sociologhi danno del contesto storico. L’era post-moderna per convenzione inizia negli anni 80, pertanto gli autori da te citati sono collocati al di fuori. Sono autori che hanno rivoluzionato la narrativa e fissato le basi per un approccio verso la scrittura che stravolge i canoni classici, però non sono post-moderni nel senso stretto del termine. Avevo discusso di questo con il prof. durante l’esame di letteratura, all’università. 🙂

    In ogni caso, penso che tu abbia inquadrato perfettamente il discorso: la letteratura post-moderna mette in scena l’incertezza e lo spaesamento dell’uomo contemporaneo, e lo fa scardinando le strutture narrative classiche. Difficilmente i romanzi post-moderni hanno una trama lineare (io infatti uso due time-line parallele), un punto di vista univoco (non è il mio caso, ma molti alternano la prima e la terza persona) e appartengono al genere della commedia. Spesso sono circondati da un’aura inquieta.

    Per quel che mi riguarda, devo dire che questo sovvertimento dei canoni tradizionali, a livello di prima stesura, mi diverte molto: oltre ai salti dal passato al presente, ho inserito nel romanzo delle chat, cerco di rendere la contemporaneità con quello che nel cinema sarebbe definito un “montaggio alternato”.
    Dal momento che il mio protagonista è un musicista ho anche a portata di mano testi di canzoni (ovviamente scritte da un amico cantautore a cui non frega una cippa del copyright) che evidenzino non solo un mondo interiore, ma anche la difficoltà dell’individuo post-moderno con la comunicazione tradizionale, nonché la necessità di ricercare mezzi alternativi. A tutto questo si affianca una mia esigenza quasi viscerale di rappresentare la realtà post-moderna. Non so se conosci i film di Giuseppe Piccioni: “luce dei miei occhi” è emblematico del mio atteggiamento, secondo me: sguardi filtrati da un vetro che crea uno schermo, luci dei lampioni che si riflettono sul pavet umido dei Navigli, la poesia ricercata nel brutto… fantastico! 😀

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    • Giusta la precisazione. Infatti, nelle note, dichiaro che riguardo a buona parte degli autori citati l’attribuzione del termine postmoderno è impropria. Tuttavia, come dicevo, sono romanzi di rottura e ogni volta che un romanzo rompe con il passato succedono due cose:
      1. Le dimensioni iniziano a diventare inquietanti, chilometriche.
      2. La struttura prende il sopravvento sul contenuto, o, meglio, la struttura diventa parte del contenuto.
      Questo era importante dirlo. Inoltre leggerli indica una direzione ben precisa. I fenomeni storici non sono eventi isolati che ogni tanto capitano, ma un fluido susseguirsi. Riprenderemo questo tema più avanti.
      Interessante peraltro la tua analisi che condivido. Andrò a vedere il film che citi. 🙂

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  3. Accidenti che post impegnativo alle otto del mattino! 😉
    A parte gli scherzi, condivido in gran parte la tua opinione.
    Anzi, dirò di più, io credo che si possa ipotizzare un quadro in cui non è tanto il contenuto a non essere importante, ma bensì è la forma con cui viene narrato a diventare il vero contenuto.
    Faccio un esempio pratico. Sto lavorando ad un romanzo in cui l’oggetto è la percezione che abbiamo gli uni degli altri. Ho deciso di scriverlo in terza persona, perché non voglio che il mio punto di vista rischi di entrare nel discorso. Ad ogni cambio di scena tenterò di sostituire impercettibilmente il punto di vista della voce narrante con quella di ciascun personaggio.
    In questo caso, se ci riuscirò, lo stile adottato dovrà essere parte integrante del contenuto: se parlo di punti di vista, uso i punti di vista come elemento che integra ciò che racconto.
    In questo modo, il testo esce dal puro testo e prende vita.
    E’, a mio giudizio, una visione a tutto tondo, che si fonda su altre forme espressive: dal teatro, al cinema alle arti visive.
    Non so se, vista l’ora mattutina, mi sono spiegata bene. 😛

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    • Grazie Silvia, ti sei spiegata benissimo. Far diventare la struttura parte integrante del contenuto è esattamente ciò che identifica il romanzo postmoderno. Peraltro, è interessante il modo in cui intendi realizzarlo: sarò curioso di leggerlo. 🙂

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  4. Credo proprio di essere l’antitesi del postmodernismo, allora 🙂
    Per me i confini sono sacri e la nostra identità va protetta. Il nostro passato siamo noi, non possiamo cancellarlo.
    Documenti ufficiali e ritagli di giornale esistevano anche prima però, per esempio in alcuni romanzi di spionaggio anni ’70, che non sono, credo, postmoderni.
    Però, ora che ci penso, forse il romanzo di fantascienza che sto scrivendo è in parte postmoderno, per via della struttura e dei diversi stili di narrazione. Bah.

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    • No, infatti. Nelle note lo dico, ma te ne sarei grato se ci dessi dei titoli: ne ricordi qualcuno?

      Tu potresti essere avanti, invece, e avere i piedi già calati nel “nuovo realismo”. 🙂

      Infatti, quando nel tuo blog ai parlato di una trentina di capitoli eccetera, ho pensato proprio questo. 😉

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  5. Sono rimasto colpito dal tuo post, Salvatore, e ne approfitto per dire la mia! ^_^
    Il tuo discorso sulla ripetitività con cambio di punto di vista mi ha fatto pensare ovviamente a Rashomon, il film che si rifà ad un racconto giapponese scopiazzato quasi interamente da Ambrose Bierce. Sia Bierce che Kurosawa destabilizzano il lettore perché ogni volta che raccontano lo stesso avvenimento ci si rende conto che è impossibile stabilire la verità. Poi per evitare problemi Kurosawa si inventa un finale “sicuro”, ma poteva benissimo lasciare tutto aperto, visto che erano gli anni di Kurt Godel e del gattino di Schrodinger: l’indeterminatezza regnava in più campi, sia letterari che scientifici.
    Non ho letto Sterne ma ho amato la stessa storia raccontata da Diderot, “Jacques il Fatalista e il suo padrone” (ridotta genialmente da Kundera in testo teatrale): la continua intromissione dell’autore nella narrazione e il continuo cambio di stile destabilizza ma diverte anche. Nel mio piccolo mi sono divertito a parodiare la tecnica in un mio vecchio racconto, dove il personaggio si rivolge al proprio autore per sentirsi rispondere che non si può fare: non siamo mica in “Jacques il Fatalista”!

    Anch’io nel mio unico romanzo, “Le mani di Madian”, ho adottato lo stile del cambio di registro per ogni personaggio, e non è stato facile perché il mio protagonista era abituato al più classico “io narrante” al passato, comodissimo e scorrevolissimo. Ogni personaggio dev’essere contraddistinto anche nel linguaggio, però con tutta la fatica mi è piaciuto il lavoro: è stato un esercizio mentale e di concentrazione intenso ma appagante.

    Onestamente non amo le “contaminazioni mediatiche”, neanche quando nei film appaiono finestrelle per mostrare le chattate dei personaggi. Idem per i ritagli di giornale nei romanzi: quando mi capita – purtroppo non riesco a farmi venire un solo esempio! – le salto a pie’ pari! Non mi considero un “tradizionalista” né un conservatore, leggevo in digitale già quando il 90% degli italiani ignorava cosa significasse, eppure queste contaminazioni proprio non mi piacciono.
    Ho sopportato giusto i cambi di fonte nel geniale “L’accademia Pessoa” di Bonanno, solo perché ogni capitolo aveva la sua fonte e mi abituavo subito… (quel romanzo corrisponde a tutti i dettami che hai identificato, quindi merita di essere considerato post-moderno)

    Tempo fa mi è capitato un racconto in ebook in cui la narrazione era inframezzata di link ipertestuali: metti che il protagonista stesse ascoltando una musica, potevi cliccare e sentirla anche tu mentre leggevi. Ovviamente NON ho cliccato.
    Purtroppo da questo punto di vista sono un “antico” e se sento che sotto la confezione non c’è alcun contenuto, mi stufo subito della bella carta regalo. Ciò mi esclude dalle tue definizioni, sono evidentemente un pre-moderno 😛

    Spero di non essere andato fuori tema e ti faccio i complimenti per i tuoi post.

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    • Ciao Lucio, grazie. 🙂

      Quello di Kurosawa, in campo cinematografico, è un ottimo esempio e ricordo di aver visto il film all’università commentato dall’allora Tommasi (non so se insegni ancora). Una cosa del genere, nel romanzo, l’ha fatta Iain Pears – come ho scritto nelle note – con La quarta verità. Anche in questo caso è impossibile stabilire chi abbia ragione. Il finale del film (sono passati tanti anni) non lo ricordo, ma ad esempio Calvino in Se una notte d’inverno un viaggiatore fa la stessa cosa che dici: si inventa un finale dove, secondo me, non era necessario.

      Diderot, che citi, avrei potuto (e forse dovuto) citarlo anch’io, ma non volevo mettere troppa carne sul fuoco. Sono sempre dell’idea che non si possa dire tutto quello che c’è da dire in un unico post: diventerebbe chilometrico e poco fruibile. Tuttavia ti ringrazio per averlo ricordato tu, così, nei commenti, aggiungiamo un altro tassello. 🙂

      Immagino e sono curioso, a questo punto, di leggere il tuo romanzo. Credo anche che saltare a piè pari i ritagli di giornale o gli altri contenuti metatestuali sia un’abitudine condivisa da tutti o quasi… In fondo, al lettore quasi sempre interessa la narrazione è la sua scorrevolezza. Non è una questione di essere reazionario o meno; semmai la lettura è per prima cosa un diversivo, un intrattenimento e questo aspetto non va dimenticato. Ma, come dicevo anche a Grilloz, ne riparleremo nei prossimi post.

      Grazie per aver citato il romanzo di Bonanno. Andrò a leggermelo (c’è talmente tanto da leggere che non si riesce proprio a stargli dietro…).

      Non sei andato fuori tema e, anzi, sta nell’abilità, secondo me, dello scrittore rendere gradevole, fruibile e indispensabile anche la “confezione”. 🙂

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      • Da autore autoprodotto, non posso che sottoscrivere: ora l’autore deve occuparsi anche della correttezza dei codici ASCII degli accenti! Ne approfitto per complimentarmi con la tua rubrica sulla lingua italiana: troppi autori autopubblicati tralasciano le basi del mestiere (la lingua appunto) e spesso il lettore si trova di fronte degli sfondoni che basterebbe pochissimo per evitare.
        Proprio in un periodo in cui si può pubblicare facilmente, curare sia il contenuto che la confezione è fondamentale: a meno che non ci si possa permettere di ingaggiare professionisti che lo facciano per noi.

        Non credo che saltare gli inserimenti (tipo i ritagli di giornali) sia una questione di “mancato intrattenimento”, è più uno spezzare il ritmo che potrebbe essere evitato.
        Ripeto, io non faccio testo perché probabilmente sono pre-moderno, ma credo che un autore debba essere capace di trasformare in narrativa anche i ritagli di giornali: deve informarmi sul loro contenuto senza farmeli leggere.
        Mi viene in mente un romanzo che non mi è piaciuto ma che illustra alla perfezione il concetto: “La scacchiera” di John Brunner. Ogni giorno il protagonista legge i giornali e ne racconta il contenuto al lettore – visto che Brunner usa una vera partita a scacchi come trama, è importante sapere dove siano i personaggi-pedine. Pur se si tratta di un romanzo molto noioso, non c’è bisogno di mostrare pagine di giornali: attraverso il flusso dei pensieri del protagonista il lettore viene informato di tutto ciò che gli serve per la narrazione.

        Le innovazioni tecnologiche sono sempre mal viste – da 14 mercoledì sto raccontando sul mio blog le lamentele sollevate nella storia del libro dall’antichità ad oggi, ogni volta che è stata adottata una innovazione in quell’ambito – però temo che aggiungere multimedialità spezzi il climax, a meno che non sia proprio questo il volere dell’autore. Se non voglio che il mio protagonista capisca il mistero su cui sta indagando, gli faccio cadere addosso distrazioni e impedimenti a volontà…

        Ah, dimenticavo “L’ultimo libro” di Zoran Zivkovic – romanzo che mi ha ferito perché è stato ad un passo dal diventare il più grande capolavoro del secolo e invece si è fermato due passi prima…
        È un frizzante giallo bibliofilo con un investigatore che deve indagare su un mistero in una biblioteca… e ogni tanto ha visioni di uno scrittore che lo sta scrivendo. In pratica abbiamo di nuovo il personaggio che interagisce, anche se per poco, con il suo autore!

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  6. Allora hai intenzione di scrivere un romanzo di rottura… Per rompere, rompi già con un racconto classico. 🙂

    Questa parola, postmoderno, mi è oscura, nel senso che pur vedendola scritta di continuo non l’ho mai analizzata.

    Colgo un’incogruenza nel tuo manifesto. Se il lettore medio, a cui tu vuoi appioppare il tuo romanzo postmoderno, si relazione con televisione, cinema, 3D, videogiochi, internet, tu perché vuoi fargli fruire un libro di carta?

    Dovresti riscrivere alla Se una notte d’inverno un viaggatore saltando da un media a un altro, allora sì sei postmoderno e vinci il nobel, che ovviamente rifiuterai in base al tuo manifesto. 🙂

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    • Già che a rompere (…) sono bravo, tanto vale sfruttare questa abilità innata. 😛

      Perché sono un egocentrico con un sogno: cioè, un uomo pericoloso.

      Non vincerò mai un Nobel, ma se dovesse capitare… me lo tengo: sono un postmodernista con la testa nel “new realism” io, che credi?! XD

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  7. Una storia in cui ogni personaggio narra un pezzo di storia come il tassello di un puzzle mi sembra interessante come approccio, ma rimane post moderno?
    Confesso che mi sono un po’ persa anche perché non ho letto né Ulisse, né Moby Dick (ma quante lacune da colmare!)
    Comunque aspetto il tuo racconto di questo venerdì per schiarirmi le idee 😉

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    • Certo, è postmoderno. Ci tengo però a sottolineare che sia Moby Dick sia l’Ulisse non sono postmoderni, sono romanzi della modernità che, però, come forma di rottura con i precedenti sono un buon esempio per definire a grandi linee un romanzo postmoderno.

      Il racconto è puramente rappresentativo, non ha nulla a che fare con il romanzo. Metto le mani davanti… ^^’

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  8. Sento parlare di post moderno in letteratura da che ero alle scuole medie e ammetto di essere un po’ scettica. Sarà che da brava archeologa tendo a vedere il preistorico che sopravvive nel moderno, piuttosto che le peculiarità della società postmoderna.
    Degli esempi che hai citato come opere crossmediali, ho letto solo “La nave di Teseo” e l’ho trovato un’occasione mancata, tanta fuffa, molto bello da vedere, da toccare, ma difficoltoso, proprio a livello di affaticamento visivo, da leggere, per un contenuto tutt’altro che rivoluzionario. Io tendo a vedere piuttosto l’universalità di una storia. Una buona storia rimane. Sarà anche stata già scritta e già sentita (ritengo comunque che quest’idea che l’innovazione contenutistica sia ormai impossibile molto “vecchia”, mi sembra di sentir parlare i letterati alessandrini), ma vi sono storie e ve ne sono state in ogni tempo, in grado di radicarsi nell’immaginario collettivo. In letteratura, vedo comunque che questo continua ad accadere, magari là dove i critici non se lo aspettavano (Harry Potter, ad esempio, può piacere o non piacere, ma chi può negare il fatto che si tratta di una storia che si è radicata stabilmente nell’immaginario collettivo?).
    Quindi, ecco, leggerò con interesse la tua opera, ma il post modernismo, almeno in campo letterario, continua a destarmi più perplessità che altro.

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    • Giustamente, da buona e brava narratrice di genere, non comprendi che bisogno possa mai avere il mondo di un romanzo che smette di fare il romanzo… ed è una posizione che rispetto. 🙂
      Comprendo benissimo la difficoltà visiva di cui parli: è un pericolo che ho intenzione di evitare (lo stesso vale per il capolavoro di Laurence Sterne). Tuttavia anche i segni semi-grafemici (? ! « » – / , : ; .) sono delle intromissioni al testo. Tuttavia sono intromissioni indispensabili e che rientrano a buon diritto tra i “facenti parte del contenuto”, cioè contribuisco a trasmettere senso. Inoltre, come già notato da altri, eliminare del tutto il contenuto ritengo sia non azzardato, ma proprio sbagliato. Detto questo, spero di riuscire a stupirti. 😀

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      • L’Isola di Teseo dopo mezz’ora in cui devo usare la lente di ingrandimento per le note, devo continuare a girare la pagina per seguire il testo, devo aprire mappe, usare strumenti che occupano spazio mi causa mal di testa. Ho lottato con questo libro, su cui avevo riposto molte aspettative, per circa un mese, poi, capito che il contenuto non mi avrebbe cambiato la vita, ho lasciato perdere. Spero che la tua opera sia più fruibile, perché i commenti in rete che ho letto sono più o meno dello stesso tenore del mio: che bello da vedere, ma che fatica da leggere e neppure ne vale la pena! Da te vorrei un libro innovativo, ma che non mi necessiti un supporto farmacologico per essere non dico apprezzato, ma almeno letto!

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        • Quando facevo freestyle in volo, la domenica mattina salivo su un aereo che puzzava di cherosene, compresso in un cubicolo di latta assieme ad altre dieci persone (immagina lo spazio di una 500 ma senza sedili), raggiungevo in pochi minuti quota 4000 metri, mi lanciavo e, una volta atterrato, sudato e sfinito perché è un’attività fisica intensa e stressante, dovevo ripiegarmi il paracadute facendo attenzione a non commettere errori “mortali”. Piegare un paracadute non è facile, né comodo, né rilassante… È come fare un Origami immenso. Ora, forse leggere non comporta la stessa iniezione di adrenalina, ma alcune volte ho come l’impressione che si cerchi la via semplice. Nessuna morale in tutto questo, intendiamoci, capisco benissimo quello che intendi dire e ne ero già più che consapevole. Non ho intenzione di fare qualcosa come La nave di Teseo, ma ho intenzione di fare qualcosa di ben studiato. Il supporto farmacologico da consegnare assieme al libro, incelofanato nello stesso pacchetto, potrebbe essere una bella idea! 😀

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  9. Niente male l’idea dell’unica storia raccontata a tasselli di puzzle dai vari personaggi, con la base ritmica di fondo. Aspetto anche io il racconto. 🙂

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  10. Mi sono letta il post attentamente e ho gradito molto. È spiegato bene e ho capito tutto (credo).
    Grazie!
    Per quanto riguarda il tuo progetto, mi sembra molto interessante e anche difficoltoso, in bocca al lupo!

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