Giulio Mozzi

Impressioni d’un Corso Fondamentale di Narrazione

La prima cosa che gli dissi fu: «Mi sono iscritto al tuo corso fondamentale di narrazione per via dell’aggettivo, altrimenti non credo l’avrei preso in considerazione». Era chiaro che fossi ironico.

Egli incrociò le braccia sul petto, tirò indietro il busto accomodandolo contro lo schienale della sedia e, con uno sguardo caustico e un modo lievemente pedante, rispose: «Fondamentale, perché il corso tratta delle fondamenta della narrazione».

«Quindi è un sostantivo?»

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Sono le tre di notte e ho quasi finito di scrivere questo post. Ho dovuto rileggerlo più volte, perché Mozzi è una persona corretta e merita correttezza. Con questo articolo non voglio fare un resoconto dettagliato del suo corso fondamentale di narrazione a cui ho avuto il piacere di partecipare; non voglio screditare, ammesso che sia possibile, un uomo che a mio parere certamente non lo merita; né voglio giustificare aspettative andate infrante, poiché non ce ne sono state. Lo scopo è solo quello di valutare i sei mesi passati in compagnia di Giulio Mozzi.

Una delle prime cose che capii di lui fu che quando sul suo blog o nelle varie interviste che di tanto in tanto appaiono in giro per il web si definisce o viene definito altruista, questa definizione aderisce alla realtà in un modo così marcato e palese da lasciarti palesemente spiazzato. Tutto quello che egli dice di sé aderisce alla realtà con la stessa genuina verità. E questo, anziché essere rassicurante, confortante, piacevole, lascia invece una sensazione di leggera inquietudine.

Egli davvero si preoccupa del tuo benessere, soprattutto emotivo. Ciò nonostante, piuttosto spesso parlando della tua scrittura, con quella sua ironia sferzante che lo caratterizza anche nel testo scritto, gli capita d’essere cattivo in un modo così diretto e concreto che le due immagini quasi faticano a coesistere. Lasciandoti disorientato e boccheggiante. E tu cosa potrai mai rispondere a un uomo così?

Nulla.

Giulio Mozzi ha più di vent’anni d’esperienza nell’editoria e la parte interessante del suo corso consiste in tutti quegli aneddoti che egli snocciola con piacere, facendotene dono. In sua compagnia si passano ore gradevoli. Sentendolo parlare di libri, di editoria, di altri scrittori, di cose che normalmente non rientrano nella didattica di un corso, nonostante egli si definisca un non-letterato, uno che non ha mai preso la laurea (benché ci tenga a segnalare un albero genealogico composto da familiari – soprattutto donne – perfettamente laureati in tempi in cui «non era poi così scontato»), si ha comunque la nettissima impressione che di letteratura ne sappia e ne saprà sempre più di te.

Ed è bello starlo a sentire. Bello, interessante, coinvolgente… Ascoltandolo, hai la nitida sensazione che non si tratti di storielle raccontate per vantarsi – non ho mai sentito Mozzi vantarsi di alcunché, o quasi: «Dicono di me che uso i due punti in un modo assolutamente originale» afferma, compiaciuto; «Nessuno finora ha saputo spiegarmi perché riesco a essere tanto credibile quando scrivo» dice gongolando, ecc. – ma citazioni reali a cui egli ha assistito di persona sul magico mondo dell’editoria. Tutto è così naturale, concreto, semplice da lasciarti semplicemente basito. Soprattutto quando ti rendi conto di trovarti nel dietro le quinte di un mondo che altrimenti non conosceresti.

Da Mozzi si entra in un salotto, ci si accomoda tutti assieme attorno a un tavolo e si ascolta un vecchio, non di età ma d’esperienza, raccontare di prima mano tutte quelle cose cui tu non avrai mai la fortuna di assistere direttamente. Il fatto che il salotto corrisponda a un magazzino arredato con scaffali zeppi di libri da piazzare è un dettaglio davvero irrilevante. Alle sue lezioni, con piglio deciso, sopportando a stento le obiezioni, egli evoca una cultura farcita non solo di aneddoti, o pragmatismi, ma soprattutto di regole prime. Ci sono solo regole prime nella concezione tecnica di Mozzi. Il che sta a significare che, in fondo in fondo, di regole non ce ne sono affatto.

Ecco, questo rispecchia così fedelmente il suo modo di fare, che si viene quasi ingannati dall’aria rustica, quasi casalinga, che si respira al suo corso. Il risultato, purtroppo, finisce quasi sempre per essere invece una costante ricerca del bello. Se avete la fortuna di piacere a Giulio Mozzi quasi sicuramente sapete scrivere bene cose belle, ma altrettanto sicuramente non venderete mai un picco di niente. Gli scrittori da lui promossi – Mozzi è un talent scout tra le altre cose – pare non vendano molto. Egli stesso, d’altronde, pare non venda molto. Si potrebbe obbiettare che nel panorama editoriale odierno “non vendere molto” sia la norma.

Egli, insomma, con una certa risolutezza e l’ostinazione di un pitbull, ricerca affannosamente un solo tipo e un tipo soltanto di scrittura: quella di nicchia. Sonora, elevata, elegante, evocativa… con quel velo di “vedo non vedo” in grado di far balenare immagini potenti con poche semplici frasi. L’opinione del vostro umile narratore è che la narrativa debba contribuire ad alleviare la noia, soprattutto in un mondo schizofrenico come il nostro, non infliggerla. Questo tipo di scrittura, invece, troppo spesso si palesa con risultati tutt’altro che divertenti. Si potrebbe opinare che il gusto dell’intrattenimento sia una questione a sua volta opinabile, ma allora anche il bello lo è!

Tuttavia non è una scrittura barocca quella che egli ricerca; anzi, non è affatto un tipo di scrittura. Egli ricerca il bello in senso lato. E questo, di per sé, non è sbagliato. Il bello, però, nella sua concezione letteraria si associa inevitabilmente a uno stile e a una scrittura, appunto, ricercata. La domanda che al vostro umile narratore sorge spontanea è: «Esiste o può esistere un bello assoluto, che valga quindi per tutti?» Personalmente non so rispondere, ma ne diffido.

Il confronto con una concezione così elevata di letteratura dev’essere insopportabile. Tuttavia, Mozzi sembra resistere bene allo sforzo. Il fatto che in vent’anni non abbia scritto alcun romanzo, dichiarando di non esserne capace, amabilmente dimostrando di non prendersi sul serio, dovrebbe però quantomeno insospettirlo. Ci si può confrontare con Joyce, Proust, Manzoni e allo stesso tempo conservare abbastanza amor proprio, fiducia in se stessi, da riuscire a scrivere senza esserne schiacciati? Il vostro umile narratore avrebbe voluto possedere il coraggio di chiederglielo…

Non posso consigliarvi se iscrivervi o meno al suo corso di narrazione; se farlo sia una scelta valida, cioè di valore, o un buco nell’acqua. In fondo, piacere a Mozzi, potrebbe quasi essere il peggio che possa capitarvi. Il vostro umile narratore confida d’esser stato durante le lezioni abbastanza caustico da averne sventato il pericolo. Di me in fondo ha detto, e cerco di riprodurre l’espressione esatta, per quanto difficile mi riesca: «Hai un certo occhio nel raccontare storie, i tuoi racconti in fondo funzionano, ma credo manchi di una certa sensibilità linguistica». «Meglio, però» dice all’ultima lezione. «Tuttavia, cerca di capire perché scrivi, smetti di giocare e inizia a fare sul serio». Detto così potrebbe quasi somigliare a un complimento, ma il ringhio da pastore maremmano disillude le illusioni.

La cosa che suscita una certa impressione in Mozzi però, non è la fondamentale gentilezza d’animo, di cui egli è felice detentore, che urta con l’espressione da bimbo sadico che ogni tanto gli sfugge di mano; né il grugno infastidito, spesso comico, che veste quando ti ostini a pensarla diversamente da lui; ma il suo occhio chirurgico per il testo scritto. Giulio Mozzi ha una capacità di analisi così netta, profonda, razionale e precisa da sapere piuttosto spesso, meglio del narratore stesso, cosa avrebbe davvero voluto narrare l’autore. E non sono affatto ironico nell’affermare che non sbaglia quasi mai. Inizialmente le sue domande appaiono accusatorie, velate di sarcasmo; invece penetrano in profondità nella psicologia dell’autore, palesando in breve tempo la logica della sua indagine. Gli ho visto fare cose da lasciare il vostro umile narratore sbalordito e sconfortato. Sbalordito, come dev’esserlo stato un primitivo azteco davanti all’esigua armata di Hernán Cortés; sconfortato, come dev’esserlo stato Mozart di fronte all’invidia di Salieri.

Nel panorama narrativo italiano Giulio Mozzi è una risorsa preziosa. Il costo del suo corso fondamentale di narrazione si potrebbe considerare ampiamente ripagato già solo dall’analisi meticolosa che egli esegue sui testi dei suoi studenti. Se non riuscite a giudicare da soli la qualità dei vostri lavori (cosa piuttosto comune), se temete che qualcosa vi sfugga, rivolgersi a Giulio Mozzi potrebbe essere una buona idea. Si potrebbe obbiettare che per farlo non serve partecipare al corso, è sufficiente inviargli il proprio dattiloscritto (in formato elettronico), poiché egli legge tutto – e non è una burla. Però tende a rispondervi solo se quello che scrivete gli piace davvero e non potrà comunque mai essere disponibile ed esaustivo quanto in effetti lo è a lezione.

Senza contare che apprendere le tecniche di narrazione direttamente da uno scrittore, per di più conosciuto e rispettato dagli addetti ai lavori; uno scrittore d’esperienza, armato di una capacità analitica non comune, non è una questione secondaria. Il vostro umile narratore, infatti, ha imparato molto in questi sei mesi. Non solo l’uso alla Mozzi dei due punti: sparsi per la pagina con guizzo creativo; o la fortunata trovata del dispositivo drammatico, di cui egli detiene il copyright che m’impedisce di parlarvene; ma soprattutto il valore della passione.

Pur contestandone il gusto e un certo modo di fare, il vostro umile narratore apprezza in Mozzi certamente le qualità tecniche, l’occhio professionale e, in generale, un’onestà intellettuale ormai rara. In particolare, però, ne apprezza la sana profonda passione su cui è imperniata tutta la sua attività editoriale (in questo caso, in senso lato). Egli davvero legge tutto quello che gli postate; egli davvero si sforza di farvi capire la reale qualità dei vostri testi (e non sempre è un bene); egli davvero si fa in quattro per chi considera dotato di talento, e lo fa con una passione altrettanto rara. Quando Giulio Mozzi vi invita a casa sua, per donarvi qualche libro o fare quattro chiacchiere, lo fa perché trae davvero piacere dalla vostra compagnia. E anche questa è una cosa rara.

Soprattutto, il vostro umile narratore ha imparato che quando Giulio Mozzi si sforza di farvi comprendere la bruttezza dei vostri testi, lo fa esclusivamente a vostro vantaggio. Il vostro umile narratore ha avuto la fortuna di avvantaggiarsene parecchio, in effetti. Se vi capita l’occasione quindi di conoscerlo di persona e diventargli amico, non potrete che considerarvi fortunati. È così raro conoscere una persona genuinamente altruista, onesta e corretta, che quando ci si trova davanti a un uomo tagliato così, non si può come prima reazione che diffidarne. Ma con Giulio Mozzi l’unica valida è sempre la seconda impressione.

Concludendo, il suo corso fondamentale di narrazione è stata un’esperienza interessante, ricca, stimolante, a tratti frustrante e a tratti divertente. Soprattutto è stata un’esperienza utile a maturare come scrittore e come persona. Se vi capita d’averne la possibilità, se state cercando un corso di scrittura creativa, valutate serenamente di frequentare il suo: sicuramente non potrà venirvene del male.

Post Scriptum

Le cose che ho imparato in questi sei mesi da Giulio in effetti sono molte: la forza espressiva della singola parola, o anche solo di una virgola, sull’insieme del contenuto; il significato di romanzo postmoderno; l’uso del linguaggio come strumento per un fine e non come strumento fine a se stesso; l’azione sistematica di snellimento del testo; il valore di un buon editing, che comincia sempre, prima di iniziare a scrivere, dal ragionamento. Ho imparato che le parole che scegliamo e la loro collocazione nella frase sono esse stesse portatrici di significato prima e al di là della storia narrata. Soprattutto ho capito cosa voglio scrivere davvero e il come farlo; e l’ho capito comprendendo ciò che proprio non mi piace.

Grazie Giulio.

Il vostro narratore, umile

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Note:

Il titolo del post si riferisce con umorismo a una pubblicazione promossa dallo stesso Giulio Mozzi sul proprio blog: “Se incontri Giulio Mozzi per la strada uccidilo”.

Il copyright cui accenno è un’invenzione narrativa del vostro umile narratore, l’unica presente nell’articolo.

L’immagine è stata tratta da qui.

46 Comments on “Prima del Buddha, uccidi Mozzi”

  1. Ti ho letto con gusto e farlo di buon mattino è un valore aggiunto!
    La tua è stata davvero una bella esperienza, se ne parli in questo modo: oltre alla sostanza del corso,rappresentata da tutte le cose che hai scoperto e imparato, mi piace il modo in cui parli di Giulio Mozzi, una persona di cui anch’io, in piccolo, ho sperimentato la disponibilità quando gli ho chiesto di partecipare a un’intervista doppia con la responsabile di una giovane Casa Editrice. Pensavo snobbasse la richiesta di una blogger qualunque, invece è stato gentile e si è messo in gioco. L’ho apprezzato. Certo, partecipare a un corso di sei mesi è impegnativo, tuttavia non ti nascondo che mi hai incuriosito. Una bella testimonianza, la tua. Adesso, però, ti toccherà mettere a frutto consigli e insegnamenti e scrivere un romanzo che sia “bello”! A lavoro, su!

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    • Mettere a frutto l’esperienza è quello che mi spaventa di più in effetti. Ascoltare Giulio parlare è una cosa semplice, riprodurre le perle su carta… lo è meno; molto meno. Comunque in questo caso il vocabolo “corso” credo sia fuorviante. Il suo non è un corso; non si insegna una didattica. Piuttosto è un confronto, quasi alla pari (e non è alla pari solo per colpa dell’allievo), con uno scrittore che vale, io credo, più di quanto abbia dimostrato su carta finora. Inoltre Giulio, da come lo conosco io, mi sembra una persona più che disponibile.

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    • Sì, ho un’idea molto molto precisa e ne ho già discusso sia con Giulio, che però temo non mi abbia preso troppo sul serio per il timore che il mio sia un tentativo di imitazione (e non mi spingo oltre con le spiegazioni per il momento), cosa che non è; sia con altre persone, a cui l’idea è piaciuta, che mi hanno già fornito materiali e qualche soluzione. Però è un progetto editoriale complesso. Adesso provo a svilupparlo da solo. Se ci riesco lo presento direttamente a Giulio; altrimenti glielo proporrò per la bottega del prossimo anno (non quella che sta iniziando quindi). Io ci credo molto. Aspetto, però, a iniziare a scrivere, come suggerisce Giulio, di maturare un’idea più completa.

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  2. E’ stato un piacere leggerti. L’impressione che trasmetti è che sia stata un’esperienza intensa, di quelle che lasciano il segno e che si pongono come un confine tra prima e dopo.
    Sono molto contenta per te e per le nuove consapevolezze che hai acquisito, quindi non mi resta che augurarti buon proseguimento 😀

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    • Lo spero… I confini non sono mai così netti. Mi piacerebbe, ma non è così. Se c’è una cosa che ho imparato, più di tutte le altre, da Giulio è che la scrittura è un mestiere (inteso proprio come lavoro). Quindi serve tempo, impegno, disciplina, eccetera. Vedremo… 🙂

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    • Non spendo mai parole tenere a favore di Salvatore Anfuso. Forse sbaglio, ma questo post è scritto con sensibilità linguistica. Mo’ deve fare anche il miracolo post corso di dargli non uno e sguercio, ma due occhi dieci decimi per costruire trame. Allora sì, potrebbe partire il processo di canonizzazione. Due miracoli sull’Anfuso neanche Sant’Antonio se li può permettere. Giulio Mozzi santo subito.

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    • Aspetta a dirlo, Giulio. Devo ancora inviarti il romanzo… XD Non credo mi ringrazierai poi. È più probabile che alzerai gli occhi al cielo, scuotendo la testa sconsolato. Sbaglio? Vedremo… 🙂

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  3. Io devo ammettere che mi sono ricreduto un po’. Prima dicevo che i corsi di scrittura non servono a niente. Non è vero, a qualcosa servono. Servono a relazionarsi. Servono a mettersi in gioco. Servono se il docente è bravo, come in questo caso Mozzi. Il mio dire non servono a niente era rivolto alle reali possibilità che un corso può dare per scrivere un romanzo. Un grande romanzo letterario o di successo commerciale.
    Credo molto più nello studio dei romanzi stessi. Smontare il romanzo fondamentale e comprendere il dispositivo drammatico, il susseguirsi delle scene. Di recente ad esempio ho studiato i Silenzio degli Innocenti di Harrys. E sto studiando i thriller di Connelly. Ebbene posso affermare che i loro dispositivi sono molto più evoluti dei romanzi letterari. La capacità di mostrare, di tenere in piedi la linea narrativa interna al personaggio e quella esterna alla storia, il ritmo, la tensione, la capacità di catturare il lettore pagina dopo pagina, sono maestrie all’ennesima potenza. E mi permetto di dire, che noi italiani fissati con la letterarietà del testo non sappiamo replicare. Di recente leggevo una battuta di un editor americano. Diceva che i romanzi letterari d’essere belli son belli, peccato che pochi leggono oltre pagina 9.
    Sui corsi c’è anche da mettere nel conto l’effetto illusione, roba abbondante fra gli aspiranti scrittori. Il tuo corso è durato sei mesi, adesso leggo nella bottega di narrazione che c’è quello annuale. La cifra mi pare spropositata. Legittima per l’impegno di ore dei docenti. Però e sappiamo che è così, quasi nessuno uscirà da lì con un grande romanzo. Da un lato si offre un’opportunità, dall’altro si vende un’illusione.
    Mi fa piacere che la tua esperienza sia stata positiva. Entrare in contatto con Mozzi deve essere molto suggestivo. Tutto sommato se ti ha lasciato maggiore consapevolezza, strumenti tecnici della scrittura e del dispositivo drammatico, ben venga. 😉

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    • Apri diverse questioni. Ti do ragione sui corsi di scrittura in generale – infatti in qualche commento più su ho affermato che quello di Mozzi è chiamato impropriamente “corso” -. Io, ad esempio, ho frequentato la Holden di Torino (da esterno però) e su quella scuola, che è sicuramente una scuola eccellente, ho maturato il tuo stesso giudizio. Su Mozzi la questione è differente però. Differente, perché ci si confronta con uno scrittore vero, di talento, dotato di un occhio analitico davvero fuori dal comune, e di carisma. Mette anche parecchia soggezione, mi spiego?

      Per quanto riguarda l’illusione, capisco cosa intendi. La riuscita del romanzo, però, dipende dall’autore, non dal corso. Mozzi più che dirti la sua (che già non è poco) e correggerti gli errori, che può fare?

      Per quanto riguarda l’editor americano (sarebbe interessante sapere chi è), certamente ha ragione: gli americani su certe cose sono imbattibili. La scommessa, però, è quella di scrivere qualcosa di letterario, che accontenti quindi una piccola élite culturale, ma che sia anche leggibile e divertente per il lettore medio. Ci provo. 🙂

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      • Sì concordo. Sulle qualità di Mozzi non si discute. Sulle possibilità d’imparare dai professionisti nemmeno. La Holden chiaramente si pone da università. Un altro corso rinomato è quello di Raul Montanari.

        L’editor americano è Shawn Coyne. Lo trovi facilmente su google digitando The story grid.
        Sul blog espone il metodo che adotta da anni con numerosi scrittori best seller americani.
        Molti editor italiani, ma anche io che sono di ampie vedute, inorridirebbero di fronte ad aspetti del suo metodo. Ma tolti i pregiudizi nostrani, ho imparato più da lui e dal suo metodo che da tutti i manuali di scrittura letti.
        Perché il punto cruciale che lui espone è il seguente. Nessuno può stimare se un libro funzionerà. I parametri sono troppo ampi. Viceversa si può stimare se un libro non funziona e dove non funziona.
        Poi anch’io vorrei scrivere un romanzo letterario che possa vendere. E so perfettamente che sono difficili entrambe le ambizioni già da sole, figuriamoci insieme.

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  4. Il fatto che tu sia rimasto soddisfatto è tanto, secondo me, visto che molti non parlano bene dei corsi di scrittura creativa. A me piacerebbe frequentarne uno, anche se resto un po’ scettico. Vedremo in futuro, anche perché Mozzi non mi sta proprio di strada ora 🙂

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    • A Roma ce ne sono di validi… ne parlava proprio Mozzi nell’ultima lezione con un altro ragazzo. Non ricordo però il nome, visto che non sono interessato a frequentare corsi di scrittura a Roma. Magari può indicartelo Giulio. Lui è più che disponibile e non si fa problemi, in genere, a fare pubblicità ai colleghi.

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  5. Mozzi è una delle persone più competenti e sottovalutate dal panorama letterario italiano. L’ho conosciuto grazie ai suoi video su Youtube, ho acquistato alcuni dei suoi libri (il “ricettario di scrittura creativa” lo utilizzo quotidianamente per esercitarmi nella scrittura) e in linea generale lo ritengo una persona degna della massima fiducia.
    Mi mangio le mani per non avere la possibilità materiale di seguire il suo corso. Ne avrei beneficiato di sicuro.

    Alessandro

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    • Concordo in pieno con il tuo giudizio, Alessandro. Inoltre detto da te, che solitamente non usi mezzi termini con chi si autopromuove senza avere reali competenze, ha un valore aggiunto.

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  6. Marco Amato: la tradizione letteraria anglosassone è diversa dalla nostra; e quella statunitense ancor di più. Forse la nostra è una tradizione perdente e la loro una tradizione vincente: non lo so, lo sapranno i nostri discendenti. Ma io ho il sospetto che non sia tanto opportuno confrontarsi con le altre tradizioni in termini del tipo: “Loro lo fanno meglio” (o: “Noi lo facciamo meglio”). (Vale anche per la cucina, non solo per la letteratura…). Già scrivere in lingua italiana significa rivolgersi a un pubblico di nicchia.

    Una precisazione: Salvatore ha partecipato a un corso di sei mesi nel senso che nell’arco di sei mesi abbiamo fatto cinque incontri di due giornate ciascuno. E il corso non era centrato sulla letterarietà dei testi (della quale peraltro si è parlato in abbondanza, come necessario) bensì sul benedetto dispositivo drammatico.

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    • Ciao Giulio, Io credo che i giudizi finali vadano sì lasciati alla storia, però i giudizi contemporanei è giusto porseli. Chi siamo e dove stiamo andando.
      E la letteratura italiana, ma sarebbe corretto dire l’editoria italiana sta perdendo. Il crollo dei lettori e dei libri venduti sono parametri che vanno oltre il declino economico del paese.
      Io non voglio essere un dispensatore di ricette. Bastano gli addetti ai lavori per questo.
      Però penso alcune cose. La prima è che la nostra produzione di libri deve modernizzarsi. Se l’Italiano è una nicchia occorre puntare al mercati esteri, quello anglosassone e soprattutto quello americano. So che sembrano allucinazioni queste. Ma le nostre esportazioni di libri sono basse. Dobbiamo vendere di più all’estero. E per vendere all’estero non bastano le piccole vendite ai piccoli editori esteri. Dobbiamo puntare ai grandi editori. L’anno scorso leggevo un dato sconcertante. La nostra esportazione media di libri negli Stati Uniti ha vendite che vanno dai 5 ai 10 mila libri l’anno. In quel mercato immenso occupiamo posizioni irrisorie.
      Quindi puntare ai modelli americani, attualmente vincenti, credo che sia il concetto minimo da porsi. Gli americani riescono a esportare dall’alta letteratura: Roth, McCharty, Franzen, ai thriller, al rosa.
      E pensare che noi siamo “l’italiano” e quindi non possiamo ambire a tali mercati è fuorviante. Il boom scandivano dagli anni 2000 (Svedese, Norvegese, nomi astrusi) è significativo. Sento citare costantemente dagli autori americani Larsson, Nesbo, Camilla Läckberg, come se fossero autori loro pari.
      Non credo che gli scandinavi siamo migliori di noi a livello di tradizione letteraria. Eppure sono stati in grado di modernizzarsi. Io purtroppo ho una proiezione mentale al mondo anglosassono. Nel mio lavoro di siti web, il 70% del mio fatturato lo compio negli Stati Uniti. Che per internet è come vendere ghiaccio agli eschimesi. Se teniamo alla nostra editoria, dobbiamo ampliare lo spazio vitale estero. Dobbiamo modernizzarci. Che poi la nostra tradizione letteraria vada mantenuta è chiaro. Ma non possiamo vivere solo di quella. Non possiamo permettercelo più.

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      • Marco, facciamo una distinzione: c’è l’editoria, e c’è la letteratura.

        A salvare la pelle agli editori ci pensino gli editori. Non è un problema degli autori.

        (Analogamente: la letteratura non è un problema degli editori: è un problema degli autori).

        Il mercato statunitense non è immenso: dei titoli pubblicati negli Usa, circa il 3% è tradotto da altre lingue.

        Se vuoi farti un’idea veloce, guarda qui.

        Se vuoi approfondire, guarda qui.

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        • Interessante, conferma quel che penso.
          La quasi totalità degli italiani direbbe: va beh, ma se è il 3% allora rinuncio.
          Ma io sono imprenditore e quando vedo 3% mi si illuminano gli occhi. Che potenzialità enormi di crescita.
          Occorre soltanto coraggio, determinazione, porsi sfide.
          Già è strano. In me è “sveglio” lo spirto guerrier ch’entro mi rugge. 😉

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  7. Mi interesserebbe molto conoscere i parametri di Mozzi sul “romanzo postmoderno”, visto che ne sto scrivendo uno e sto rivoltando come un calzino ogni testo mi capiti fra le mani.
    E – gongolo mentre lo scrivo – forse potrei piacergli. Potrei. Forse. Perché un po’ di nicchia lo sono. E io e te, se ben ricordi, una volta avevamo anche litigato per questo. 😀

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    • Se non puoi partecipare al suo corso, o alla bottega, quando hai finito il romanzo puoi spedirglielo (le indicazioni le trovi al link nell’articolo) e vedere cosa ne pensa. Mozzi legge tutto, anche quello che non vorrebbe leggere. 😀
      Non ricordo un litigio…

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  8. P.S. Off-topic. Qualche settimana fa mi sono informata sulla bottega di narrazione di Mozzi e ho notato che fra le persone che hanno collaborato c’è anche Gianni Biondillo, uno degli autori che apprezzo maggiormente. Ho già prenotato il suo nuovo romanzo, l’incanto delle sirene, che uscirà il 24 settembre. E non vedo l’ora di leggerlo.
    Il romanzo che oggi ho visto pubblicizzato sia da te sia da Marco Freccero è il primo che ho letto, nonché il migliore di questo autore. Era il 2005 e l’ho ripreso almeno 3 volte.
    Assurdo, vero, visto che il bello di un giallo è proprio scoprire la trama poco a poco? 😀

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  9. Io intervengo solo per dire due stupidaggini a favore della riabilitazione di Salieri, la cui invidia/odio nei confronti di Mozart è stata oggetto di trame pregevolissime, sia teatrali che cinematografiche, ma che in realtà non è affatto documentata, anzi parrebbe smentita dalla maggioranza delle fonti.

    Al di là di questo, complimenti per la crescita derivante dal non-corso (yeah/ghimmeffaiv) 😉

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    • Grazie Andrea. Anch’io ho letto, a proposito dell’invidia di Salieri, che fosse in realtà una montatura o addirittura una farsa volutamente promozionale, del tipo: litighiamo, così ci facciamo pubblicità a vicenda. Però il paragole era troppo ghiotto per non usarlo.

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  10. Bravo Salvatore, adesso che hai fatto questa esperienza sono curiosa di leggere quel che scriverai. Si noteranno sicuramente passi avanti, anche se eri già uno scrittore esperto. I tuoi sacrifici saranno ripagati in pieno!

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    • Sentito, Giulio? Uno scrittore esperto! Prendi nota, cazzarola.
      Grazie Lisa. 🙂

      P.S. magari non subito subito, per i passi avanti intendo. Fra un po’; giusto il tempo di digerirlo, il corso. 😛

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  11. Lisa è buona e ingenua, come Cappuccetto rosso. Esperto?
    Che scrittura grande che hai… È per leggermi meglio… Che impianto drammatico potente che hai… È per emozionarti meglio… Che penna lunga che hai… È che questa favola mi eccita…

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  12. Che bell’esperienza che hai fatto!
    Mi piacerebbe un sacco partecipare o far leggere qualcosa di mio a un autore esperto, ma… per ora non posso, prima devo capire cosa non va e sistemare, rifare, cucire, distruggere e riscrivere!

    😉 Sono contenta per te! Bravo Salvo!

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  13. C’era da dirlo che gli spunti di riflessione non ti sarebbero mancati. Adesso, però, riuscirai a fare scendere la scrittura dal piedistallo (me la passi?) per farla tornare a essere quello che era per te, qualunque cosa fosse? In altre parole, stai metabolizzando il tutto e cercando il tuo nuovo io più ricco, oppure…? 🙂

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