Questo doveva essere l’incipit del romanzo sui serial killer che stavo scrivendo e che non scriverò più, almeno per il momento… Ho qualcosa di più interessante per le mani. Almeno, spero. Nel frattempo, ditemi che ve ne pare.

Lizzie

Capitolo 1

La prima luce del giorno filtra attraverso la veranda, illuminando una cucina disordinata. Un uomo è seduto al tavolo e legge il San Diego Sentinel. Lo tiene steso davanti a sé, impugnandolo agli angoli con entrambe le mani. Veste bene, anche se la cravatta è allentata sul colletto e la camicia è di una taglia più piccola del dovuto. Davanti a sé ha una tazza di caffè ormai freddo. Il vapore ha smesso di salire da tempo. Gli occhi dell’uomo non si muovono, fissano il giornale, ma senza intensità.

La televisione, in alto su una mensola, è accesa su Channel 51. È piccola e vecchia, di quelle ancora con il tubo catodico. Sta trasmettendo il solito notiziario delle sette, a ciclo continuo di mezz’ora fino alle nove e trenta, orario in cui iniziano i programmi del mattino. Se l’uomo ascolta quello che sta dicendo il giornalista, lo fa distrattamente, come con la lettura del giornale. La gamba, sotto il tavolo, balla con frequenza crescente.

Il giornalista dietro lo schermo guarda dritto davanti a sé. Fora con lo sguardo la telecamera. Veste bene anche lui, come ci si aspetta che sia, ma decisamente meglio del suo telespettatore distratto. Il sorriso da americano salutista, decorato da una dentatura bianchissima, affascina le signore nelle proprie vestaglie. Lui, il giornalista, sembra saperlo e se ne compiace.

L’uomo in cucina lascia andare un lembo del giornale e impugna la tazza. Mentre sorseggia il caffè amaro alza gli occhi verso la televisione. In quel momento il giornalista sta dicendo: «… fonte del Dipartimento di Giustizia, dal 1985 a oggi, negli Stati Uniti, ammontano a 109.000 i casi di persone scomparse, di cui ben 58.000 sono minorenni. Il National Crime Information Center, FBI, fa sapere che le schede di persone scomparse nel proprio database sono arrivate all’incredibile cifra di 834.536. Questo, solo negli ultimi vent’anni. Con un incremento annuo previsto dello 0,5%. Secondo il Dipartimento della polizia di San Diego, una persona è dichiarata scomparsa solo dopo ventiquattr’ore di assenza ingiustificata dal proprio domicilio. Tuttavia ci tengono a sottolineare che le chance di ritrovamento aumentano considerevolmente se le indagini vengo avviate immediatamente. Nove volte su dieci le persone scomparse vengono ritrovate entro le ventiquattr’ore successive. Un bel risultato per il nostro dipartimento, non concordi Jeane?».

La giornalista seduta accanto a lui distoglie gli occhi dallo schermo e lancia una rapida occhiata al collega. Il sorriso tirato si allarga un po’ di più. I capelli laccati non si muovono di un millimetro benché, lunghi fino alle spalle, circondino il capo come una cotonata cascata bionda. Le labbra sottili sono colorate di un rosa acceso e fanno da contorno a una dentatura bianca come quella del collega. Poi torna a guardare la telecamera e risponde: «Certo John, molto confortante, ma allo stesso tempo inquietante direi…».

«Inquietante Jaene?» chiede John voltandosi a osservarla. Sul viso, adesso, il giovane giornalista ha un’espressione leggermente ansiosa. Se non avesse l’aria condizionata sparata addosso, probabilmente i telespettatori vedrebbero una gocciolina di sudore scivolare giù lungo la tempia e la mascella.

«È quel che ho detto John,» risponde Jaene senza fare una piega, «perché se ben nove persone su dieci vengano ritrovate entro ventiquattr’ore, ne rimane comunque una che rischia di finire nel database dell’FBI».

L’uomo seduto in cucina posa la tazza davanti a sé e rotea il polso. L’orologio, cassa cromata e cinturino in pelle sgualcita, gli indica le ore sette e trentanove minuti. Lo sguardo si alza verso le scale e lui urla: «Lizzie. Ti muovi? Finiremo per fare tardi dannazione a te!».

Dall’alto una voce giovanile risponde: «Arrivo, un attimo!».

Una donna spunta dalla stanza accanto. L’uomo si volta a guardarla; la fissa con rabbia. Lei indossa una vestaglia rosa. Sotto la vestaglia: il pigiama. I piedi poggiano nudi direttamente sul linoleum. Si tiene le mani strette attorno al collo, aggrappate ai bordi del colletto, come a volersi coprire meglio. È settembre però, e fa un caldo dannato. Non insolito, ma ugualmente stremante. La donna non sembra accorgersene. Ha freddo invece, quasi trema. La capigliatura bionda è cotonata come quella della giornalista, ma diversamente da lei, la messa in piega è vecchia di almeno due settimane. Diverse ciocche sono sparpagliate qua e là, lasciando aperti dei grossi buchi sull’impalcatura, attraverso i quali l’uomo riesce a intravedere il rosa della cute.

La donna si avvicina ai piedi delle scale e guarda verso l’alto, poi urla: «Lizzie, tesoro, non fare far tardi a tuo padre. Lo sai che oggi è un giorno speciale per lui».

Dall’alto la voce della ragazza le risponde: «Mamma, Brad non è mio padre e sarebbe un giorno speciale solo se qualche idiota decidesse di assumerlo per davvero. Vedremmo le rane saltare giù dal cielo e non credo che mi piacerebbe».

«Lizzie!» esclama la donna sorpresa, poi si stringe un po’ di più la vestaglia sul collo e spinge con titubanza uno sguardo obliquo verso l’uomo.

Brad, per reazione, lascia andare il giornale e tira indietro la sedia. Poggia entrambi i palmi sul tavolo e fa leva per tirarsi su. Sul volto ha un’espressione omicida.

La donna in vestaglia alza rapidamente una mano nella sua direzione e la muove su e giù, come fosse un ventaglio. Lo fa per dirgli di attendere, di lasciar perdere. L’espressione del suo volto sembra dire: “È solo una teenager… ci penso io. Non serve che la meni di nuovo, non di nuovo. Per favore, per favore…”.

Brad torna a poggiare la schiena contro la sedia. Scricchiola, la sedia. E se ne sta lì, con il ventre che quasi straripa dai bottoni tirati, le gambe infilate in pantaloni di cotone, quelli buoni, leggermente divaricate e le mani poggiate su di esse, ma contratte, come in attesa di entrare in azione. Il volto, però, ha un’espressione all’apparenza rilassata. La tensione per il colloquio è scemata via. L’adrenalina l’ha sparata in circolo per qualche venuzza periferica, invadendo le arterie principali. Ma lui non se n’è minimamente accorto. È concentrato, invece, su qualche immagine violenta, su qualche fantasia di stupro verso la figlioccia. Batte quasi un piede sul linoleum, al ritmo delle sue fantasie. Si passa una lingua sulle labbra perfino, come a gustare il sapore dell’ultima volta. Ma non c’è mai stata un’ultima volta. Non ancora. Questo lo sa e se ne dispiace. Sa anche di non avere i coglioni per farlo veramente. Lo sa istintivamente, anche se non lo ammetterebbe mai con se stesso. Si accontenta di qualche scapaccione, per il momento, e di una strizzata di culo. Di quelle chiappette piccole e sode, quando la madre non guarda.

Lizzie scende le scale di corsa. È piccola e magra. Ha quattordici anni. Ma ben proporzionata. Sta diventando una bella ragazza, Lizzie. Con tutte le sue cose al posto giusto. La madre lo sa, lo vede. Aveva solo un paio di anni più di lei quando è rimasta incinta. Incinta di suo fratello, quello morto. E solo uno di più quando è rimasta incinta di Lizzie. Lo sa, lo vede, ma non sa cosa fare. Si stringe la vestaglia un po’ di più sul collo.

Lizzie indossa delle scarpe college laccate nere. Delle calze bianche fino a metà coscia. Un gonnellino a fantasia scozzese, con quadrettoni neri e verdi, e una camicetta bianca. I seni, ancora minuscoli, bombano la camicetta sul davanti. Si notano appena, ma si notano.

«Eccomi» dice Lizzie, senza rivolgersi a nessuno in particolare.

La madre lascia andare i bordi della vestaglia e incrocia le braccia sul petto. «Lizzie, chiedi scusa a tuo padre». Il tono della donna non ammette repliche.

Lizzie alza gli occhi al cielo. Li fa roteare in giro, in un semicerchio da sinistra a destra, e spalanca leggermente le labbra, carnose e rosse, con un filo di rossetto. Poco, per non farsi sgridare. Poi dice: «Va bene. Scusa, papino. Sono davvero tanto, tanto dispiaciuta».

Brad, ancora seduto, osserva tranquillo quelle labbra muoversi. È indeciso se fissare le labbra o i seni. Le labbra lo attraggono di più per il momento, ma le cose cambieranno. Man mano che i seni cresceranno, cambieranno. Lo sa, lo sospetta.

«Non c’è problema, non sono offeso. Dovremmo andare però, o faremo tardi» dice Brad alzando le mani davanti a sé. Lo dice con calma placida. Con la tranquillità di un cacciatore che ha già la preda fra le zanne. Senza accennare ad alzarsi però. L’uscio di casa è alle sue spalle, alla sua sinistra, ma lui attende.

Lizzie si sistema meglio la borsa sulla spalla, è voluminosa e pesante, poi lo guarda indecisa. Intuisce che qualcosa non va. Che c’è qualcosa di insolito. I loro battibecchi portano sempre a una sfuriata da parte di lui e a qualche scapaccione sul volto di lei. Non questa volta, sembra. Si sistema di nuovo la borsa sulla spalla e si avvia verso la porta.

Brad attende, silenzioso e tranquillo, osservandola avvicinarsi. Quando gli passa accanto, però, si alza con un’agilità che non ci si aspetterebbe da uno come lui e l’afferra per i capelli. Sono biondi e morbidi. Quindi tira il braccio indietro, verso di sé, costringendo Lizzie a inarcare la schiena.

La madre, alle loro spalle, strilla. «No, ti prego, lasciala». Ma non fa nulla per impedirlo. Ha paura di beccarsi qualche sberla pesante pure lei.

Lizzie stringe i denti, ma non accenna a urlare. Sa che è peggio se lo fa. Si porta solo le mani sulla testa per cercare di allentare la tensione sul cuoio capelluto. La borsa cade a terra con un impatto rumoroso.

Brad avvicina il proprio viso all’orecchio della figlioccia e sussurra: «Hai ragione, Lizzie, non sono tuo padre. Se lo fossi, forse mi importerebbe qualcosa di te… ma non è così. Però» prosegue, abbassando ulteriormente il tono della voce e passando rapidamente la lingua sulle labbra, «la prossima volta che mi manchi di rispetto, ti trascino nello scantinato, chiudo tua madre in camera sua, stacco la linea telefonica, e ti do una lezione che ricorderai». Lo dice gustandosi la scena. Lo dice con calma, ma con tensione crescente. Si eccita quasi. E mentre si eccita fa scivolare una mano, quella libera, nascosta alla vista della madre dal suo corpo, sul sedere della ragazzina. Poi stringe. È proprio sodo come immaginava che fosse. Quindi la lascia andare spingendole il capo in avanti. Lizzie quasi perde l’equilibrio, ma è giovane e lo riacquista in fretta.

«Adesso muoviti, che è tardi» le ordina, ma resta fermo e attende di vedere cosa farà.

Lizzie tira su la borsa da terra e se la mette a tracolla, poi, senza guardarsi attorno, si avvia fuori dalla casa massaggiandosi la cute maltrattata.

Brad si volta a guardare la moglie. La donna finge di non vederlo. Alza gli occhi sulla televisione invece. Guarda John, il suo sorriso magnetico, e allenta un poco la vestaglia sul collo.

23 Comments on “Lizzie”

          • il possibile scoppio del padre… di come uccide la madre e tiene invece la ragazza segregata in scantinato per i primi tempi e nel frattempo stupra e ammazza altre ragazze della stessa età, fino al culmine quando passa alla figlioccia.
            l’eroe chi potrebbe essere? uno spasimante di qualche anno iù grande della raazza o un detective che inizia a indagare sulle morti?
            Fantasia troppo attiva?

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            • No, affatto. Fantasia buona, anche se avevo pensato a uno sviluppo completamente diverso. ^^ Vedi? Prendi due scrittori, gli dai dei personaggi e un’ambientazione e verranno fuori due storie completamente diverse. 🙂

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  1. L’incipit è scritto bene, a parte tre piccoli refusi (uno ripetuto, quindi in totale due) ma, non so perché, non riesco a provare empatia per la situazione. Hai scritto altri racconti (ad esempio Sophia o quello per il concorso) in cui era molto più facile emozionarsi e calarsi nella realtà rappresentata. Qui invece c’è distacco. I personaggi mi sembrano ancora privi di spessore. Nessuno che si possa paragonare a Federico o ai suoi “colleghi” alcolisti, a cui mi ero affezionata subito. 🙂
    La parte relativa al telegiornale secondo me è un po’ troppo lunga e spezza troppo rispetto a ciò che accade in seguito. Dunque ti chiedo: ciò che i giornalisti stanno dicendo che tipo di impatto avranno sulle vicende future? Non sarebbe meglio mettere subito in scena i personaggi per avvicinare il lettore alla situazione e – solo in un secondo momento – tirare in ballo l’ FBI? Io parlo senza sapere quali risvolti avessi previsto in seguito. Ciò che ti dico si basa esclusivamente su ciò che ho letto.
    In generale, mi verrebbe da suggerirti di continuare, pur adattando la storia a un contesto diverso, più vicino al lettore. Sai già cosa penso della specificità culturale di un autore e, in generale, del tentativo di scimmiottare gli americani. 🙂

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    • Be’ questo pseudo romanzo era nato ambientato negli Stati Uniti e l’idea mi piace ancora. Quello che dicono i giornalisti ha una rilevanza importante sugli avvenimenti successivi. Il distacco che provi forse è causato dalla scelta del tempo verbale. Il presente tende a fare scherzi del genere, ma è utile per aumentare il pathos in prossimità si scene al cardio palma. Quando l’avevo scritto (questo è precedente a Federico…) mi piaceva la scelta del tempo verbale, oggi un po’ meno… Forse proseguirò postando qui i capitoli successivi di volta in volta, senza impegno. Adesso ho altro da scrivere. 🙂

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      • Sinceramente non credo dipenda dal tempo verbale. Anzi: solitamente si sceglie il presente per aumentare la vicinanza e il senso di immediatezza mentre il passato accentua l’alone di mistero. Io credo (ma si tratta di una cosa assolutamente soggettiva) che questa sensazione di estraneità dipenda proprio dall’ampio spazio dato alle notizie del tg. Avrei optato per un inizio in medias-res spostando più avanti questo brano… 🙂

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  2. Mi sembra ben scritto, ma neanche io ho provato empatia coi personaggi. Però ho capito il nesso con la notizia alla TV. I tempi verbali al presente, invece, specialmente nella prima parte, non mi hanno coinvolto: sembravano più da sceneggiatura cinematografica, come punti da sviluppare.

    Ti segnalo i refusi:
    “muovo” anziché “muovono” per 2 volte. Manca uno spazio dopo i 3 puntini: “«…fonte”
    “di trascino nello”

    In questo punto:

    “Dall’alto una voce giovanile risponde: «Arrivo, un attimo!».
    Una donna spunta dalla stanza accanto.”

    io pensavo che Lizzie fosse quella che ha parlato.

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    • Sì, ho pensato anch’io potesse creare un po’ di incertezze quel passaggio, ma si capisce subito dopo, quindi l’ho lasciato com’era. Grazie per i refusi, li correggo subito.
      Secondo me, cambiando il tempo verbale, cambia anche l’empatia verso i personaggi. Certo, in questa fase non erano molto sviluppati, era più interessante la situazione in sé, che doveva spingere il lettore a chiedersi che diamine sarebbe capitato.
      Vero, sa di cinematografico ed è proprio così che ho pensato la scena. 🙂

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  3. Per me ha un buon ritmo, che segue la tensione crescente. E giustamente invoglia a sapere di più, facendo già tifare per la giovane protagonista.

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  4. Questo inizio di romanzo è in stile… hollywoodiano. Si potrebbe scriverne facilmente la sceneggiatura, anzi è già scritta. Capisco che a qualcuno possa anche non piacere, però sotto pseudonimo (Arthur Greene, ti piace?), con una quarta del tipo “Un thriller mozzafiato da cui non potrete staccare gli occhi – The Washington Gazette”, ci si dimentica che l’autore è Salvatore Anfuso from Italy.
    Se fossi io l’autore, diversamente da Giuse, fare uccidere il patrigno da Lizzie, giù nel sottoscala… Si può processare una ragazzina di 14 anni e mandarla sulla sedia elettrica per aver difeso la sua innocente età dalla violenza degli adulti? Pensa al dibattito, alle interviste, Anfuso da Vespa con il plastico…

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    • Grazie Hell, in effetti hai ragione: sarebbe stato un libro molto cinematografico, pronto per l’adattamento sul grande schermo, ed era proprio così che lo avevo pensato. Tuttavia, anche in questo caso, la mia versione, quella che avevo in mente come trama, era molto diversa dalla tua e da quella di Giuse. Più tortuosa… 😉

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  5. Me lo leggerò con calma, intanto vorrei sapere se sei sicuro che sia una buona idea ripartire da zero con una nuova storia, hai messo tanto impegno in questa, perché hai deciso di accantonarla?

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    • Sì, sono sicuro. Questo era un romanzetto che mi ispirava molto, ma che non rappresentava una sfida. Quello che ho in mente, invece, è IL romanzo. Se devo infondere delle energie, preferisco spenderle per ciò che voglio veramente.
      Per quanto riguarda il tempo dedicato a questo, non lo considero sprecato. Comunque ho imparato un sacco di cose che potrebbero, prima o poi, tornarmi utili. 🙂

      P.S. quando lo leggerai, fammi sapere cosa ne pensi. Sai che tengo in gran conto il tuo parere! :*

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      • Ho letto. Non sono adatta a giudicare che tipo di incipit sia corretto per una storia di questo tipo.
        Io un libro così non lo leggerei nemmeno sotto tortura, ma non c’è incipit che mi farebbe cambiare idea. 🙂

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          • Un libro su una ragazza che subisce violenza mi fa più paura di un horror. Se devo pensare a queste cose ascolto il TG… mi piacciono i libri da cui posso imparare qualcosa divertendomi, in genere mi piacciono gli studi approfonditi della psicologia di un personaggio, e va bene anche se il personaggio è psicopatico, ma allora il narratore deve essere molto “light” e indorarmi la pillola, altrimenti vado in tachicardia 🙂

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