Amarcord: vecchi ricordi


Salvatore Anfuso

…quando il passato ritorna

Ci sono momenti della vita in cui sentiamo la necessità di ripercorrere la nostra storia, la strada fatta, forse per ritrovare noi stessi. Non sono solito guardarmi alle spalle, né perdere tempo a fantasticare sul futuro. Io vivo il presente. Eppure, la scorsa settimana, un po’ per caso, un po’ per destino, mi sono imbattuto nel mio passato e ripercorrerlo è stato piacevole. No, meglio. È stato emozionante. Possiamo davvero dire chi siamo se non conosciamo la nostra storia?

L’identità non è fatta solo di un nome, una data di nascita e una serie di fatti insignificanti, come: che lavoro fai? Dove vivi? Sei sposato? Ti sei laureato? Con che punteggio? Tutte queste informazioni non dicono chi siamo. Non hanno contribuito a formare il nostro carattere, o la nostra personalità. Sono solo dati anagrafici, buoni per farcire la burocrazia di altre informazioni inutili. Cos’è che ha davvero importanza allora? Cosa dice a noi stessi, prima ancora che agli altri, chi siamo e da dove veniamo? L’argomento di questo post è: vecchi ricordi.

 La rete ha una memoria

Ho sempre pensato che il web fagocitasse ogni informazione. Tutto ciò che finisce nella rete, nel giro di sei mesi è obsoleto. Figuriamoci quando passano degli anni. Eppure, la scorsa settimana, vagando nei meandri di Internet, ho scovato per puro caso due cose che arrivano dritte dritte dal mio passato.

Prima di parlarvene è il caso di spendere due parole su quello che definisco: “il mio passato”. Come ho accennato prima, io vivo il presente. Il passato è alle mie spalle e il futuro lo ignoro. L’unica cosa a cui do importanza è la vita che sto vivendo adesso. Per questo motivo ho sempre vissuto a compartimenti stagni. Ciò che è successo prima di conoscere la mia ex, ad esempio, è un’altra storia per me, un’altra vita. Quindi immaginate la mia sorpresa quando quella vita mi è capitata davanti agli occhi…

La rete, il web, diversamente da me ha una memoria. Proprio in questo periodo di grandi cambiamenti, ha risputato fuori cose che pensavo dimenticate. La prima l’avete già vista accedendo a questo post, è l’immagine in calce. La seconda arriva fra poco.

Pellicole fotografiche

Prima che il digitale le facesse fuori, l’unico modo per imprimere un’immagine su carta era stamparla su una pellicola fotografica, quelle che venivano chiamate: impressionabili. Impressionabili non per colpa del soggetto riprodotto – in alcuni casi anche –, ma perché con la giusta luce e un’immagine decente, la carta fotografica veniva impressionata, cioè faceva aderire l’immagine sulla propria superficie.

La foto che avete visto, in alto, sopra questo articolo, risale all’ultimo anno di superiori. Eravamo a Roma in gita, io e la mia classe. Avevo 18 anni. Potrei sfidarvi chiedendovi, tra i tanti soggetti riprodotti, chi sia io… ma sarebbe una vigliaccata, me ne rendo conto. Tuttavia, se volete provarci, fatelo. Svelerò la mia identità solo alla fine del post, così avete un po’ di tempo per rifletterci.

Antiche scritture

Un’altra cosa che contribuisce a dire chi siamo, da dove veniamo, è ad esempio un diario, magari risalente ad anni prima, scritto senza pensare che prima o poi sarebbe rispuntato fuori. Sfogliarne le pagine, leggerne i pensieri di allora, può essere un’esperienza imbarazzante, oppure trascendente. Dipende da come siamo e da come eravamo, immagino.

È quello che è successo a me in questi giorni, solo che il mio diario non è fatto di carta e inchiostro. È fatto di bit. Sto parlando di un blog, aperto nel 2007, otto anni fa. All’epoca non avevo ancora incontrato Imperi, quindi non avevo assolutamente idea di cosa significasse scrivere un blog. Ho fatto tutti gli errori tipici che Daniele sottolinea ogni volta che parla di blogging nel suo sito. Eppure… quanta verità!

Leggermi è stata un’esperienza mistica. Soprattutto perché non avevo scritto quei post perché fossero letti da estranei. Erano solo sfogo. All’epoca l’idea d’essere letto da qualcun’altro, da gente estranea, era qualcosa di distante, anomalo. Insomma, non avevo pensato potesse accadere davvero. In effetti i commenti non abbondano, ma questo contribuisce solo a dare maggiore profondità a quello che c’è dentro. L’idea che qualcuno potesse capitarci per caso non mi aveva sfiorato. O meglio, lo ritenevo improbabile. Per questo non è un blog, ma un diario in senso più tradizionale. Siete curiosi?

Se volete conoscere il Salvatore Anfuso che è stato, acerbo sia nelle idee sia nella scrittura, ecco a voi il link: PeNsIeRi-RiFleSsi.

Se intendete buttargli un occhio, fatemi sapere cosa ne pensate, sono curioso del confronto. Quello che ci troverete forse non è il massimo se parliamo di estetica, di stile o, ahimè, di grammatica. Però è vero. Nel senso di crudo, reale, scritto senza alcuna malizia o filtro. Sono io, così come ero. A me è piaciuto e sono convinto che scrivessi già molto bene all’epoca. Con tutte le differenze del caso, certo.

Non troverete racconti. Parlo di me stesso e della mia vita. Soprattutto delle sensazioni, delle emozioni. Ecco, allora, che possiamo rispondere alla domanda che ci eravamo posti all’inizio: cosa contribuisce a fare di noi ciò che siamo? Le emozioni che abbiamo vissuto e provato nel passato, ne sono convinto.

Indovina chi?

Siamo giunti alla fine del post. Vi avevo fatto una promessa e adesso intendo mantenerla. Pensate di avere indovinato? Prima di dirvi chi sono, vi lascio qualche indizio per poterci riflettere ancora un momento.

  1. Sono uno sbruffone con un ego mostruoso, oggi come allora;
  2. Sono sicuro di me stesso e dalla foto si vede benissimo;
  3. Non seguo la moda (dell’epoca), è la moda che segue me;
  4. Mi piace stare al centro dell’attenzione…

Allora, avete indovinato chi sono? Forse l’avete capito subito e sto solo facendo una brutta figura… Oppure non ci siete arrivati affatto, neanche con gli indizi. Ad ogni modo, bando alle ciance, eccomi: sono quello in seconda fila, al centro della fotografia, con i capelli lunghi e gli occhiali da sole. Un piccolo mostriciattolo egocentrico ancora in erba.

E voi, quali sono i vostri ricordi? Com’eravate a diciotto anni? Avete un diario risalente ad anni fa che custodite ancora?

P.S. ancora una cosa…

Ci sarebbe anche un video… Risale a soli sei anni fa ed ero un po’ in dubbio se postarlo o meno. Tuttavia, già che stiamo parlando di vecchi ricordi, perché no?! Ecco il link: Turbolenza. Io sono l’allievo. Anche il montaggio è mio.

25 Comments on “Amarcord: vecchi ricordi”

  1. Prima ancora che tu ponessi la domanda dell’ “indovina chi sono” io ti avevo già individuato nel tipo con il k-way blu elettrico in prima fila. Mi sbaglio? 😉

    Per quel che riguarda me, a diciotto anni ero una normale liceale di provincia. Andavo a scuola la mattina, al pomeriggio studiavo fino alle 18:00 e poi andavo a correre o “in vasca” con le amiche. Al sabato sera in pizzeria, al cinema o a casa di un mio amico che aveva una villa con tavernetta dove si organizzavano feste con musica di Gigi D’Agostino e bische di belotta.

    Gli anni che però ricordo con maggior affetto sono quelli dell’università, i primi trascorsi a Milano. Ci sono immagini che mi sono rimaste nel cuore e che, volenti o nolenti, continuano a trasparire nel mio romanzo, frutto della mia memoria visiva da alieno. Ci sono dinamiche che escono, è inevitabile. Perché, anche quando le nostre storie sono inventate, in qualche modo ci appartengono.

    Anche io nel 2005 – 2006 avevo un blog simile al tuo (che non ho ancora letto) di puro cazzeggio e pensieri in libertà. Mi spiace aver cancellato tutto in un momento di rabbia, perché mi piacerebbe rivederlo.

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  2. Ce n’è sempre uno che fa le corna nelle foto. Ecco, potresti scrivere un racconto su un serial killer che uccide tutti quelli che fanno le corna nelle foto.
    Perché hai detto chi eri? Eh, be’, lo so che hai un debole per Chiara…

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  3. La rete, in realtà, porta memoria di tutto. Ogni cosa, ogni foto, ogni racconto abbozzato e pubblicato con superficialità salterà fuori, prima o poi, magari nel momento meno opportuno…

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  4. Parli di diari personali, come non intervenire! Io ce li ho tutti conservati, belli allineati nell’ultimo piano della libreria: sono 15 e più o meno tutti risalenti al periodo liceale. Li considero una specie di Zibaldone cui attingo le idee: e ce n’è di materiale, credimi!
    Avevi i capelli lunghi? 🙂

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  5. Nooo non ti avrei mai riconosciuto, hahaha mitico.
    Prima di leggere il post ho scrutato la foto per cinque minuti perché volevo indovinare da sola, ma non avevo idea. Vogliamo altre foto trash!! 🙂

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    • Sei proprio una scrittrice! Solo uno scrittore si sarebbe davvero fermato a leggere i titoli di coda… 😛
      Ormai è immodificabile. Il video è vecchio e non ho più la pass per intervenire. 😦
      Ti è piaciuto, il video?

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  6. Mi ha fatto venire i brividi…quella “A” senza la H!! (impossibile non notarla…nemmeno durante lo scorrere pressoché illeggibile dei titoli di coda! 😀 )
    Scherzo, mi ha fatto venire i brividi quel precipitare per lunghi minuti: non lo farei mai!!

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    • Ti posso assicurare che è l’esperienza più spettacolare che si possa fare. Lanciarsi intendo, non la ha senza h… 😛 Avevo preso anche il brevetto da paracadutista. Poi, per vari motivi, l’ho lasciato scadere… -_-
      Immagina quando, a 4000 metri sopra il livello del mare, si apre il portellone dell’aereo e l’aria inizia a frizzare all’interno. Il pilota spegne i motori, tu ti affacci e vedi solo il cielo, perché il suolo è troppo distante per poter distinguere gli oggetti. A quel punto, in quel preciso momento in cui devi lanciarti nel vuoto, ti senti un Dio… Un Dio che si è cagato addosso! 😉

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        • Si immagina sempre che quando hai un istruttore, di qualsiasi attività si stia parlando, questo, le prime volte almeno, ti segue passo passo. Al mio primo lancio avevo due istruttori, uno per ogni fianco, attaccati a me attraverso le maniglie della tuta. Il punto è che quando apri il paracadute non puoi avere altre persone vicino… Quindi in quel momento i tuoi istruttori devono per forza lasciarti andare e staccarsi da te. Al mio primo lancio, alla prima apertura di paracadute (che per intenderci è il momento più pericoloso di questo sport), io ero solo…!

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      • Il pilota spegne i motori?! *__* So già che se provassi a paracadutarmi mi addormenterei a metà altezza e mi spiaciccherei al suolo. C’è troppo sonno nella mia vita.
        PS: io avrei scommesso il tipo alla tua destra, non è che ti sei sbagliato? 😉

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