terza persona narrante

…quando narrare è oggettivo, soggettivo o onnisciente

«Psh. Ragazzo, tocca a me?»

«No, ancora no, vecchio mio».

Cari followers, ben ritrovati. Siamo giunti al terzo appuntamento con il punto di vista in narrativa, vale a dire: con quali occhi narrerò la mia storia? Nel precedente articolo abbiamo visto le principali differenze fra la prima e la terza persona narrante. In questo, invece, proverò ad approfondire i diversi aspetti di quest’ultima; ce ne sono sostanzialmente tre:

  • narratore onnisciente;
  • terza persona limitata soggettiva;
  • terza persona limitata oggettiva.

Ritengo che il modo migliore per illustrare queste tipologie sia di lasciarsi alle spalle le asettiche chiacchiere da manuale e utilizzare degli esempi pratici. Nel precedente articolo alcuni lettori, nei commenti, si sono divertiti a inserire dei brani scritti ad hoc,  riprendendo e ampliando il mio esempio. L’hanno fatto senza che glielo chiedessi, ma dando vita a due validissimi brani. Per aiutarmi con questo articolo allora, e anche per premiare la loro iniziativa, utilizzerò i loro.

«Adesso? Tocca a me?»

«Ancora no, vecchio. Cerca di tenere a freno la tua ansia, d’accordo?»

«Okay, okay, scusa. Se sapevo che eri così agitato oggi, me ne sarei restato a fare la posta a quella ragazza».

«Di che ragazza stai parlando?»

«Quella del supermercato: la nuova cassiera. Capelli biondi, lentiggini sul viso, seni acerbi… ricordi?»

«Mmh… no, a essere sinceri proprio no».

«E poi sarei io quello che soffre di alzheimer…»

«No, vecchio mio, tu non soffri di alzheimer. Sei solo un dannatissimo pedofilo».

«Sarò anche un pedofilo, ma tu, ragazzo mio, mi preoccupi se non noti una cassiera così».

Narratore onnisciente

Quando dalla prima persona, in narrativa, si è passati alla terza, la prima variante a essere utilizzata è stata proprio quella del narratore onnisciente. Cosa significa, però, narratore onnisciente? Come osservavo la volta precedente, scrivere in terza persona significa affidare il racconto a un soggetto che non è il protagonista della storia e che, pur conoscendola, non è direttamente coinvolto.

In questo senso il narratore onnisciente è un personaggio esterno che però conosce la vicenda per filo e per segno e la racconta a un individuo che invece ne è all’oscuro: il lettore. Chi è allora il narratore onnisciente? Chiunque. Potrebbe essere il vostro parrucchiere che spettegola con voi su una terza persona, oppure potrebbe essere un vostro collega che vi racconta un aneddoto sul boss o, ancora, un vecchietto bisognoso di compagnia che vi si accozza addosso e di cui non riuscite più a liberarvi.

«Stai parlando di me, ragazzo?»

«Affatto, vecchio mio, affatto».

L’identità del narratore onnisciente può anche, e spesso è così, non venire dichiarata. In questo caso corrisponde con quella dello scrittore.

Caratteristiche:

Il narratore onnisciente conosce la storia per filo e per segno, quindi non la scopre assieme al lettore man mano che la racconta. Si chiama onnisciente apposta per questo, no? Grazie a questa conoscenza, durante il racconto, egli può passare da un personaggio all’altro, può soffermarsi su un dettaglio esprimendo al riguardo il proprio punto di vista, può divagare pur rimanendo all’interno della vicenda narrata, può fare un sacco di cose insomma.

Quello che non può fare è entrare nella storia come personaggio, o esprimere direttamente il punto di vista di uno dei personaggi coinvolti come se la storia la si guardasse con i loro occhi. Il narratore può anche conoscere, o presumere di conoscere, i pensieri dei personaggi, ma non li può esprimere se non raccontandoli dal suo punto di vista.

Esempio: il narratore onnisciente

«Vecchio, tocca a te adesso. Ehi, vecchio… Ma dove diavolo si è cacciato ora? Va be’, la racconterò io».

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Sembrava un tranquillo pomeriggio infrasettimanale nel discaunt di zona, quartiere Parella, frequentato come al solito unicamente da pensionati nulla facenti, spesso affetti da alzheimer in stato avanzato, e da casalinghe distratte in cerca del rimedio, spesso ipercalorico, alla loro noia.

Armando, un vecchietto habitué, noto soprattutto per la posta che faceva alla giovane cassiera neo assunta, contratto interinale, si aggirava tra le corsie da almeno tre quarti d’ora. Davanti a sé spingeva un carrellino semi vuoto in cui aveva riposto pochi oggetti inutili. Strascicava i piedi, anziché alzarli, e zoppicava visibilmente dalla gamba destra; cosa che gli donava una bizzarra andatura ondulatoria. Il carrellino gli serviva soprattutto come appoggio. Il bastone da passeggio dondolava appeso. In mano reggeva un foglietto che sfregava continuamente fra le dita.

Al terzo giro, passando davanti alle casse e infilandosi frettolosamente nella corsia dei dolciumi, per non farsi notare dalla giovane cassiera, appena svoltato l’angolo si imbatté in una coppia anomala per quell’orario: una giovane donna vestita di giallo e un giovane uomo vestito da nerd.

La donna aveva un’aria annoiata. Come se fare la spesa non fosse tra le sue priorità, ma ne fosse comunque costretta. Indossava un vestito giallo canarino, molto attillato, che le aderiva a metà coscia in un modo che non poteva passare inosservato. In mano reggeva una confezione di assorbenti. Gli occhi vagavano fra barattoli di nutella.

Il ragazzo, invece, era vestito con un paio di jeans sformati e una felpa che aveva l’aria d’essere sopravvissuta all’inverno appena trascorso. Ai piedi calzava scarpe da ginnastica logore. Sul viso, un sorriso sciocco. Aveva il dubbio merito di mettere in mostra una dentatura tutt’altro che splendente.

La donna notò l’atteggiamento gongolante del ragazzo, ma finse di ignorarlo.

Il nerd, incurante, si fece avanti. Si sporse per guardare la donna negli occhi, ammiccò un paio di volte e infine chiese: «Mi scusi, ha idea di dove possa trovare la corsia dei canditi?»

«Ce l’ha davanti» rispose seccata la donna, senza degnarlo di un secondo sguardo.

«Muoio dalla voglia di sgranocchiarli sul suo corpo nudo» aggiunse di fretta il ragazzo, dichiarandolo tutto d’un fiato. Dimostrando in questo modo di non aver affatto ascoltato la risposta, ma di aver semplicemente dato seguito alla scena così come si era svolta nella sua mente.

La donna sbuffò, annoiata, consapevole di quello che, per una questione di aspettative sociali, avrebbe a quel punto dovuto fare. Si voltò, alzò un braccio, e piazzò sul viso da caco maturo del ragazzo un sonoro schiaffone.

Il ragazzo reagì lentamente, con il sorriso che pian piano scemava in un’espressione sbigottita, facendo un passo indietro e portandosi una mano alla guancia.

Armando, dal fondo della corsia, prima che il ragazzo afferrasse un barattolo di canditi e lo sbattesse con forza sulla nuca della donna, osservò quella scena con cura per un unico dettaglio, che poi era il vero motivo per cui si era fermato: un culo così sodo che non ricordava di aver più visto almeno dal lontano ’76…

Difetti:

Il narratore onnisciente rappresenta la massima libertà di espressione. Semplicemente non ha limiti, tranne una: l’immedesimazione. Il lettore non riuscirà mai a immedesimarsi con un personaggio. Quello che potrà fare, invece, è immedesimarsi nella situazione narrata, riconoscendola nel ventaglio delle proprie esperienze. Se il narratore è bravo a cogliere un frammento di realtà, allora potrà guadagnare la stima del lettore.

Dopo la prima persona narrante, l’onnisciente, è il narratore più semplice da utilizzare. Nell’ottocento ci sono grandi esempi di narrativa in questo stile. Questo dona all’onnisciente un’aura di alterca obsolescenza. Il mio consiglio, a meno di non essere davvero bravi, è di non utilizzarlo.

Terza persona limitata soggettiva

Quando il narratore onnisciente è diventato noioso e obsolescente, lo scrittore è passato a utilizzare una terza persona che ricorda molto da vicino la prima: la terza persona limitata soggettiva. È sempre una terza persona, ma a raccontare la storia è proprio il protagonista. Ci si comporta come con la prima persona, quindi il mondo lo si osserva con i suoi occhi. Tuttavia lo sguardo non corrisponde perfettamente, l’occhio narrativo è piazzato alle sue spalle.

La terza persona permette al lettore di immedesimarsi con il protagonista, come con la prima persona, ma senza la noia introspettiva segaiola tipica di quest’ultima.

Caratteristiche:

Poiché la storia è narrata come se fosse osservata dal personaggio principale, ci si comporta come con la prima persona: si descrive il mondo, ma solo attraverso ciò che gli occhi del protagonista vedono, non si conoscono i pensieri degli altri personaggi, non si conosce la storia, ma solo quella porzione che il personaggio sa. La storia la si scopre man mano che viene raccontata.

Si può passare da un personaggio all’altro. In questo caso si parla di terza persona limitata soggettiva multifocale. Lo so, sembra quasi una malattia. Questo permette di osservare la storia da più prospettive e di staccare, di tanto in tanto, dal personaggio principale. Solitamente lo stacco avviene tra un capitolo e l’altro. Ci sono esempi di stacco all’interno dello stesso capitolo, ma questo può causare un certo sconforto nel lettore che a un certo punto non sa più chi sta dicendo cosa.

Esempio: terza persona limitata soggettiva

Autrice di questo brano: Marina

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Dopo una defaticante mattinata trascorsa tra ingarbugliate elucubrazioni mentali e tabelle di marcia da rispettare (medico per le ricette, posta per i bollettini, supermercato per la spesa), M. decide di prendersi una pausa.

Si butta sul divano, si toglie le scarpe e con grande sollievo apre il suo iPad per dedicare un po’ di tempo alla lettura. Una spunta nella casella di posta elettronica le notifica l’arrivo di un messaggio: un post pubblicato nel blog di Salvatore Anfuso guadagna la sua attenzione.

Sulle prime, M. pare molto incuriosita dal contenuto dell’articolo, l’uso della terza persona quando si scrive è un interessante argomento da trattare, poi, ad un tratto, qualcosa la distrae. Istintivamente spinge indietro la schiena schiacciandola contro il cuscino della spalliera, alza lo sguardo dal tablet e viene rapita da un ricordo recentissimo, si direbbe un flash che la ingabbia dentro un breve viaggio temporale risalente ad appena qualche ora prima. 

Quel supermercato, quella domanda: “mi scusi, sa dov’è la corsia dei canditi?”, la sua misurata risposta: “ce li ha proprio davanti” e lo sguardo improvvisamente raggelato di fronte alla sfrontatezza dello sconosciuto avventore che le rivolge un imbarazzante “muoio dalla voglia di sgranocchiarli sul suo corpo nudo”. 

Ricorda ancora il tonfo sordo e secco della sua mano ben piazzata su quella guancia paonazza e lo sguardo smarrito e sorpreso degli astanti. 

Beh, forse aveva esagerato a chiamare la Polizia…

Quando quel flashback si richiude, M. ritorna sulla pagina del blog e con un rinnovato interesse finisce di leggere l’articolo di Salvatore.

“Chissà se la guancia gli brucia ancora” – pensa. E sorride.

Difetti:

L’unico difetto è rappresentato dalla difficoltà della narrazione. Mi spiego meglio: per scrivere in prima persona non serve essere scrittori, ci può riuscire chiunque conosca bene la grammatica e abbia un minimo di propensione per la scrittura; per scrivere attraverso il narratore onnisciente, invece, bisogna essere scrittori a tutti gli effetti, è una narrazione vera e propria, uno show, don’t tell che richiede mestiere, tuttavia qualsiasi scrittore mediocre può riuscirci con una certa semplicità; per utilizzare una terza persona limitata, invece, bisogna essere dei veri maestri!

La terza persona limitata simula la prima, ma senza la semplicità di quest’ultima. Inoltre, racconta la storia dall’esterno, ma senza la libertà dell’onnisciente. In pratica si prende il peggio – in termini di difficoltà – di entrambi gli stili, per dare vita a una narrazione vivida come con l’onnisciente, ma emotivamente coinvolta come con la prima persona narrante. Buona fortuna, cari followers.

«Eccomi! Mi sono perso qualcosa, ragazzo?»

«Torna pure dalla tua cassiera, vecchio mio. Qui abbiamo quasi finito».

Terza persona limitata oggettiva

Non ricordo, in narrativa, esempi di terza persona limitata oggettiva. Forse voi, che mi leggete, ne sapete più di me. Non c’è molto da dire, se non che è un tipo di scrittura giornalistica. Si limita a riportare i fatti nudi e crudi, senza essere filtrati dalla personalità del protagonista, né da quella scrittore.

Esempio: terza persona limitata oggettiva

Autore di questo brano: helgaldo

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OGGETTO: Principio di rissa in supermercato tra la sig.ra Guarneri Marina e il sig. Anfuso Salvatore

Il giorno 14 alle ore 15.30 circa in via (omissis) nr. 13 negli uffici del Comando Stazione Carabinieri, i sottoscritti ufficiali di P. S. Maresciallo Capo (omissis), comandante della Stazione e M.llo (omissis), conducono le persone dei signori Guarneri Marina e Anfuso Salvatore.

Alle ore 15.00 circa odierne venivano contattati via radio dalla C.O. Carabinieri di (omissis) che riferiva di dirigersi prima possibile al supermercato posto in via (omissis)  richiesti dal direttore del suddetto esercizio commerciale. Intervenuti prontamente trovano le succitate persone in atto minaccioso reciproco. La sig.ra Guarneri, in arte scrittrice, nonché titolare del blog denominato “Il taccuino dello scrittore” brandisce una scatola di tonno e minaccia di lanciarla nella direzione del succitato Anfuso Salvatore, aspirante scrittore, nonché titolare del blog denominato “Salvatore Anfuso”, con lo scopo di procuragli un danno fisico. 

L’Anfuso, chiede aiuto ai Militari, mentre cerca di ripararsi dietro uno scaffale di smarties allo scopo di evitare l’oggetto contundente. Chiede di essere condotto al Comando al fine di sporgere regolare denuncia nei confronti dalla Guarneri, dichiarando in un secondo tempo di avere ricevuto un sonoro schiaffone dalla succitata signora. 

La Guarneri, sentita in merito alla dichiarazione dell’Anfuso, dichiara a me personalmente di avere subito molestie verbali dal signore succitato, tese a ottenere favori sessuali usando doppi sensi di dubbia moralità.

Copia del presente verbale viene consegnata a entrambi gli interessati e copia verrà trasmessa quanto prima all’A. G. di (omissis) per gli scopi di legge.

Riletto, confermato e sottoscritto in data e luogo di cui sopra.

I VERBALIZZANTI

Maresciallo (omissis)

Guarneri Marina

Anfuso Salvatore

Note:

Hel, come lo chiamo io, è stato molto bravo, perché ha ovviato al problema di una narrazione assolutamente oggettiva (quindi un’anti-narrazione) assumendo il punto di vista di un carabiniere che stila un verbale. Non ho nulla da aggiungere, il brano parla da solo.

Conclusioni

Cari followers, ci siamo dilungati davvero parecchio questa volta e inizio a sentire un certo torpore al polso destro…

«L’ho sempre detto che sei un segaiolo!»

Mentre riaccompagno il vecchio alla pensione/ghetto in cui vive, per mia fortuna, vi dispiace se per le conclusioni e i relativi confronti ci aggiorniamo al prossimo articolo?

«Vecchio… vieni un po’ qui».

«Ehi, che intenzioni hai ragazzo? Potrei essere tuo nonno, sai?»

«Lo so, nonnino. Tranquillo, non sarà doloroso… non per molto, almeno».

Continua…

49 Comments on “Come utilizzare la terza persona narrante”

  1. Pingback: Scrivere in terza persona | Salvatore Anfuso

  2. Mah…
    Guarda non so se commentare, ma visto che tu sei uno spirito libero lo faccio. 😉 In fondo dalla tua ironia si comprende che nemmeno tu credi poi molto a queste fesserie.

    Fosse per me tutte queste categorizzazioni paranoiche di terza persona limitata soggettiva, multifocale, limitata oggettiva o quant’altro le prenderei e le getterei nel cesso… Ops… Devo tirare pure lo sciacquone.
    Scusa l’irriverenza che sega le illusioni di tanti teorici pseudo esperti su come si scrive un romanzo.

    Va beh se qualcuno ci tiene posso dare una mano ad ampliare gli orizzonti e contribuire aggiungendo la terza persona soggettiva paraculata penosa, la terza persona allucinata da canna sensoriale con scoppolamento a destra e via discorrendo.

    Un romanzo è un’altra cosa. I grandi romanzi sono altro.
    È vera la dinamica storica del passaggio da prima a terza, da terza onnisciente a limitata.
    Ma vista proprio questa tendenza in futuro è probabile che tutte queste categorizzazioni non servano a nulla.

    Io anni fa ho studiato sceneggiatura e dato che sono pazzo, visto che non avevo esperienza su come si scrivevano le sceneggiature, decisi di scriverne dieci contemporaneamente. Per bruciare le tappe mi dicevo. Ogni tanto qualche sana illusione occorre coltivarla. Ma da quella esperienza ho imparato tantissimo. Ho acquisito un’ottima struttura di base del racconto, la visione della scena, la propensione e la forza del dialogo, la possibilità di scomporre rapidamente il romanzo in scene e sequenze.
    Studiare sceneggiatura lo metterei come corso base per tutti gli aspiranti scrittori. Ma ad esempio negli inutili manuali di scrittura creativa non se ne trova mai accenno.

    Il punto del mio ragionare qual è? In un film, anche di grandi autori, ci si pone meno paranoie sui punti di vista. La trattazione sarebbe troppo ampia, ma i film sono sotto gli occhi di tutti da quando siamo bambini. Basta guardarli con l’ottica dello scrittore per fare palestra.

    In questo mio commento affermo che si può raccontare una storia senza badare a queste bislacche norme che impongono un unico punto di vista.
    Hai scelto terza onnisciente se sgarri ti verranno mozzate le dita sulla tastiera.

    Che fesseria. In realtà è possibile variare a piacimento su tutti i punti di vista, dalla prima alla terza, dalla soggettiva alla oggettiva. Lo so che sembro eretico, fammi bruciare come Giordano Bruno se vuoi.
    Nel mio romanzo lo sto facendo e non è per nulla sperimentale. Perché il nodo essenziale è la resa del racconto.

    Se nella sua impronta di base, il romanzo ha la terza persona onnisciente, ma quale paranoia mentale vieta quando occorre di scendere in una terza soggettiva, vedere il mondo con gli occhi del protagonista maschile, sbalzarne fuori e vedere il mondo con gli occhi della protagonista femminile, alzare lo sguardo e diventare onnisciente. E poi se serve faccio ripiombare il punto di vista in una terza oggettiva e mostro le emozioni del personaggio semplicemente con i suoi gesti.

    Ma siamo sicuri che i grandi scrittori non facciano già questo?

    E se in un momento catarchico del romanzo in cui il protagonista sfoga nel dialogo un monologo, raccontando il suo passato doloroso con così tanta intensità, che come in uno zoom cinematografico il narratore entra talmente dentro il personaggio da arrivare a fondersi col protagonista e raccontare i fatti in prima persona?

    Ogni romanzo ha un arco narrativo ampio e ha bisogno di esigenze diverse durante il suo evolversi. Perché limitarsi, perché autocastrarsi quando le possibilità espressive sono molte di più.
    Il narratore a volte può essere assente, a volte intervenire ed essere partecipe, ironico, colmo di biasimo. In una scena di particolare solitudine, mi sono accorto che mentre scrivevo il narratore diventava quasi affettuoso, in qualche modo era come se fosse lui a fare compagnia al protagonista.
    Certo occorre attenzione, si rischia di fare pasticci. Ma dipende dalla tecnica e dall’abilità narrativa dello scrittore.

    Qualcuno domanderà: allora su cosa si focalizza il lettore allora? Solo su quello che conta, la storia.
    Detto ciò sono curioso di leggere le altre puntate… 😉

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    • Ciao Marco, il tuo intervento è profetico. Approfondirò i dubbi che emergono nel prossimo articolo, ma inizio con l’anticiparti che sono, in parte, sia d’accordo, sia in disaccordo.
      Facendo un passo indietro, la prima premessa è che la tecnica, in qualunque arte o mestiere, la devi conoscere. Poi puoi fare come ti pare, ma una base di partenza tecnica deve esserci. In questo post, come nei precedenti, non dico nulla che non sia presente in qualche manuale. Certo, lo faccio a modo mio e inserendo anche degli esempi, ma alla fine sono cose note. Note, però, non significa che si possano ignorare.
      Detto questo, anch’io sono per un’esperienza artistica più libera dai limiti tecnici, capace anche di tentare nuove strade. La verità? L’avanguardia non funziona. Mai. Semplicemente non viene capita dall’usufruitore finale, con una certa ragione anche.
      Alla fine lo dici bene: l’unica cosa che conta è la storia. La storia però, la devi raccontare bene. Per raccontarla bene devi farlo in modo chiaro, fruibile, non confuso e rabberciato. Perché lo dico? Perché passando da una prima a una terza persona, o da un narratore onnisciente a una terza persona limitata soggettiva, senza alcun criterio, si finisce solo per creare un bel pastrocchio. Un po’ come se tu, nello stesso libro, passassi dal coniugare i verbi al presente, al coniugarli al passato. Lo puoi fare, ma ci deve essere una giustificazione più che plausibile.
      Qual è questa giustificazione? La storia. Su questo concordiamo. Ma la devi sapere raccontare, la storia. E se passi dall’onnisciente al soggettivo limitato, senza un motivo e senza introdurre il cambiamento con cura, puoi trovare il lettore che non se ne accorge, ma qualcosa gli stonerà comunque. Se io facessi una cosa del genere, e ogni tanto capita perché è più semplice e in fondo sono uno scrittore pigro, le mie lettrici cavia (…) mi tirano le orecchie! Invece non bisogna esser pigri. E la giustificazione: io sono un artista; non è una buona giustificazione.
      Ora, è possibile che abbia un po’ frainteso il tuo intervento, mettendoti in bocca la parola “artista” che non hai usato, e me ne scuso, ma è funzionale a chiarire una cosa: scrivere è un’attività composta sia da un lato artistico ed estroso, sia da un lato tecnico e di mestiere. La parte artistica sta nel creare una storia dal niente, quella tecnica nel raccontarla in modo che venga compresa con facilità. Si chiama comunicazione… 😉
      Ti invito, invece, a scrivere un guest post per il mio blog su ciò che hai appreso per quanto riguarda la struttura narrativa di una storia, perché su questo… non ci sono dubbi, hai perfettamente ragione! Nei manuali, quelli dedicati agli scrittori, se ne guardano bene dal parlarne. Mentre per chi scrive sceneggiatura è l’ossatura portante del proprio lavoro.

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    • Splendida risposta Salvatore.
      Nel mio essere anarchico sono sembrato troppo anarchico.
      Io non intendevo che non servono regole, tutt’altro. Tempi verbali, incipit, dialogo, costruzione della scena, punti di vista, tipizzazione dei personaggi, anticipo, posticipo, indugio, flashback o flashforward, gli elementi sono infiniti.

      La narrazione è un meccanismo complesso. Ci sono scrittori che riescono a risolvere gran parte di queste problematiche per istinto, perché hanno talento, perché colgono al volo il ritmo narrativo e psicologico. E poi c’è chi questo talento lo ha di meno e deve cominciare a fare i calcoli col manuale in mano.
      I libri di scrittura creativa non fanno altro che raccontare poche regolette schematizzate.
      Ad esempio, su come si descrive un personaggio ti spiegano in quattro paginette come dargli un carattere, renderlo dinamico, porlo in una situazione, come renderlo accattivante. E poi? Alla fine della lettura dici e allora? Devo mettere in pratica le regolette pedissequamente? Quando ti trovi da solo con la tua pagina bianca non sai cosa fare. La scrittura è un’altra cosa. È un processo interiore. I manuali possono essere utili all’inizio, per avere un’infarinatura generale. Poi dopo che acquisisci i concetti base e per sentirti più sicuro provi a comprarne altri, vedi che dicono tutti la stessa cosa. Robaccia senza anima che già conosci. Perché l’anima della tua storia sei tu.

      Tutto ciò che serve per scrivere un romanzo è già scritto: nei romanzi. Basta leggere i grandi autori con l’occhio attento dello scrittore che è in noi, per comprendere le dinamiche del racconto. Io i romanzi che leggo li squarto. Li sottolineo, prendo note, archivio sul computer intere scene trascrivendole, annoto dialoghi, spunti su come l’autore ha risolto o ha reso determinate situazioni. Mi creo il mio manuale pratico sui testi dei giganti. Francamente quando vedo gli autori dei manuali spiegare così bene come dovresti scrivere un romanzo mi verrebbe da chiedere: “come mai tu un capolavoro non l’hai scritto?”
      Se si vogliono comprendere i personaggi li devi captare da Tolstoj, Eco, o qualunque altro autore, ma dal vivo, dai libri. E a quel punto ti rendi conto che i punti di vista fanno parte di un background nascosto che immagazzini e riconosci a livello istintuale. Poi puoi dire che il narratore sia diegetico o extradiegetico, che il punto di vista sia limitato soggettivo o oggettivo, ma conta poco.

      Ad esempio chi si aggiunge a scrivere un romanzo ponendosi la prospettiva di un punto di vista limitato soggettivo, sta escludendo a priori tante potenzialità narrative. Quante idee ti censuri perché dici: questo non lo posso dire, questo non si può fare, questo è incoerente. Idee che magari renderebbero il romanzo più avvincente. Se proprio vuoi restringere il campo, fallo dopo, in revisione.

      Io distinguo tra prima persona e terza persona. È più che sufficiente.
      Per il resto i punti di vista possiamo immaginarli come movimenti di macchina (cinematografica) ma che nella scrittura sono molto più articolati e sofisticati. Per non fare porcherie devi saper manovrare il mezzo, ovvio. Un video amatoriale si vede subito. E non per la qualità della videocamera. Ma per la mano dell’operatore prima e del regista dopo. Lo scrittore è anche questo, un regista. Sotto il suo controllo c’è la resa dei suoni, delle immagini, degli attori, delle interpretazione, dei movimenti di macchina…
      Nel mio romanzo me la sono vista davvero brutta in una sequenza. Te la accenno in sintesi.

      Sostanzialmente i due protagonisti Lui e Lei avrebbero una terza limitata in soggettiva, entrambi. Stanno camminando su di un marciapiede, quando all’improvviso Lui per un motivo legato alla storia, vede qualcosa dall’altro lato della strada ed entra in uno stato di shock. (E qui ci sarebbe da discutere degli elementi irrazionali e del loro valore portante, che nessun manuale spiega, ma che i grandi autori conosco).
      Quindi lui va in shock e si estranea dal contesto. Poi come un sonnambulo attraversa la strada senza guardare.
      A questo punto avrei dovuto tenere la sua soggettiva su di lui e farlo attraversare con tutti i pericoli del caso fino alla meta. Sarebbe stata la scelta ovvia, ma banale e piatta.
      Invece mentre scrivevo, istintivamente sono uscito da lui. L’ho abbandonato del tutto. Lui da quel momento esiste per come lo vedono, percepiscono e interagiscono gli altri.

      La prima è Lei, appena se ne accorge, con orrore lo guarda attraversare, convinta che lo stiano per investire. Ma poi la camera la abbandona ed entra nell’auto del primo automobilista, che ha la sua vita e pensa e se lo ritrova davanti e frena. La scena è rapida, non lo becca per un soffio, e passa visione all’auto successiva. E poi a quella dopo ancora.
      L’effetto è enorme. Se mi fossi mantenuto su di lui, non avrei reso al lettore l’effetto estraniante del lo shock. Questi automobilisti diventano comparse vive. Il nostro protagonista lo vediamo passare dalla loro prospettiva come un automa. Il lettore lo spia dai parabrezza delle auto e la dinamica della scena la vediamo scorrere quasi marginalmente. Vediamo che ogni volta si salva, ma non sappiamo se al prossimo resisterà ancora.
      Poi accade il patatrac, un tamponamento terribile a causa sua. La soggettiva torna a Lei che alza lo sguardo e non lo vede più nell’incidente. L’abbiamo smarrito tutti. Lei, il narratore e il lettore.

      Tu narratore non poi domande, ma sai che in quel momento il lettore se le sta ponendo: che fine ha fatto? È stato investito? si è salvato?
      Lo immergi e lo rendi partecipe col suo interrogativo. Ma il narratore alza la posta e ricama l’indugio e lo fa trasformandosi in un narratore onnisciente. Innalza la visione dall’alto e con un effetto cinematografico ampia l’immagine e nel frattempo stacca sulle reazioni. Il traffico che si pianta, incredulità generale, gente che accorre per vedere, auto distanti che iniziano a suonare all’impazzata. Un bambino con la palla che attraversa contento per avere una scusa per aver marinato la scuola, l’uomo che ha visto tutto e nel raccontare a chi viene a vedere trova un attimo di gloria alla sua vita piatta. La donna terrorizzata che telefona al marito e (cinematograficamente) vedi lui in sala riunione, con la penna in mano e ascolta la moglie isterica mentre sta firmando con i soci un contratto importantissimo. E lì ci piazzi la battuta del marito sulla moglie che rompe nei momenti meno opportuni . Non dai l’attimo al lettore di godere quella scena esilarante che spezza la tensione che riprendi la visione dell’incidente e ridiscendi giù. Ti rimetti in soggettiva su di Lei, la coprotagonista, che disperata prova a raggiungere il punto dell’incidente. Trova le auto strette e senza pensarci due volte salta sul cofano della macchina. Il conducente prima è atterrito per i tacchi che sfiorano come lame la sua splendida carrozzeria, e poi si estasia nel vedergli le gambe.
      Il narratore incede, alza la posta, crea attesa, tensione, divertimento. E il lettore viene tenuto desto dalla reazione del tutto intorno e domandandosi che fine abbia fatto il protagonista. Perché la sorte la dobbiamo scoprire assieme. Il narratore non fa sconti. Infatti lei lo raggiunge, lo vede di nuovo è vivo ok, sollievo. Ma tutto il casino combinato adesso li sommerge. E il perché ha fatto così è lui il protagonista che lo deve mostrare, tornando sulla sua soggettiva. Fine sequenza. (in realtà continua con le conseguenze ed è molto divertente).

      Però questo esempio è per dirti che in tutto questo processo, dico sinceramente, non me ne frega nulla se sto scrivendo in un terzo limitato soggettivo, oggettivo o onnisciente. Sto facendo tutto e niente: sto narrando.
      Come scrittore sono arrivato a livello istintivo a questa scena. Tutto ciò che devo fare e renderla con le giuste inquadrature, le giuste parole, le giuste emozioni. Punto.

      E devo ammettere che tecnicamente una scena del genere è difficilissima. Mi ha fatto penare decine di riscritture e modifiche.
      Caspita… che commento lungo sono arrivato a scrivere. Non riesco a rileggere, chiedi al revisore di bozze di occuparsi dei refusi… 😉

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      • Sai una cosa? Grazie al tuo commento ho appena capito cosa intendano alcune case editrici, riferendosi ai manoscritti che gli arrivano negli ultimi tempi, quando parlano di narrativa cinematografica.
        In un certo senso ci sarei dovuto arrivare dal tuo primo commento… Quello che hai appena enunciato è lo stile che contraddistingue i narratori, almeno italiani e in erba, degli ultimi anni; una narrazione inficiata dall’abitudine a guardare, appunto, i film cinematografici.
        Intendiamoci: se funziona, va tutto bene. Non ci sono leggi universali che vietano di scrivere in questo modo. Se il testo funziona, fa tutto ciò che dici, e al lettore piace… be’, non ci vedo davvero nulla di male. Solo… non è narrativa. O meglio, non è narrativa classica. Prendi uno qualsiasi dei romanzi a cui ti riferivi, i classici, e noterai che in nessuno di essi, mai, il narratore perde il punto di vista adottato all’inizio. Ma lasciamo i classici sullo scaffale e prendiamo qualcosa di più recente. Mi scuserai se tiro in ballo il solito Stephen King, ti assicuro che è solo per comodità visto che chiunque, anche chi non legge, sa in automatico di chi sto parlando. In 22/11/’63, un libro di 934 pagine, il King non perde mai, mai, il punto di vista adottato all’inizio del libro. Mai. Tenerlo per novecento pagine è davvero un’impresa. E funziona, naturalmente.
        Tornando alla tua scena, ho capito benissimo cosa intendi, anzi ti ringrazio per avermi fatto capire qualcosa di nuovo, e se funziona come dici va benissimo così. Tuttavia, per amore di discussione, un narratore classico come avrebbe agito? Be’, dipende, naturalmente, ma soffermandoci solo alla scena che hai menzionato e mettendo da parte il resto della storia, che pur ci sarà, un narratore classico avrebbe adottato un narratore onnisciente. In questo modo avrebbe perso l’immedesimazione del lettore con il personaggio, ma non con la scena (che poi è ciò che evidentemente, da quello che ho capito, interessava te), calandolo in un contesto, se non riconoscibile per esperienza diretta, quantomeno facilmente immaginabile.
        Saltare da un punto di vista all’altro, senza alcuno stacco (anche se questo non lo dici e quindi non so bene come tu abbia gestito la scena) come minimo disorienta il lettore. Ricordati che tu sei lo scrittore e la storia la conosci… Sai chi fa così? Questa autrice: Camilla Lackberg. In “Il guardiano del faro” salta da un punto di vista all’altro, avendo solo la cura di lasciare una riga bianca di stacco. Dopo venti pagine non capivo più chi dicesse, pensasse o facesse cosa! Alla fine, un libro così, lo chiudi.
        Ripeto: se funziona, va tutto bene. Non mi sento affatto di criminalizzare la narrativa cinematografica, con gli stacchi, le zumate, i cambi di piano sequenza… va tutto benissimo. Quanti libri conosci così però? Io, in questo momento, non ne ricordo nessuno. Ma non faccio testo. Vuoi un’idea, lasciando perdere i classici, di cosa sia la narrativa con la N maiuscola? Donna Tartt – Il cardellino. Uno stile che, personalmente, non amo, ma quella è narrativa vera.

        Rileggendo la mia risposta, mi rendo conto di essere stato un po’ troppo reazionario… Per indole non sono affatto così, anch’io amo sentirmi libero e, al di là dei post tecnici per il blog, quando scrivo mi soffermo poco a giudicare i punti di vista. Però… c’è sempre un però! Però, dicevo, prima di scrivere con uno stile cinematografico, bisogna saper scrivere benissimo con tutti gli altri stili. Non sto dicendo che tu non lo sappia fare, intendiamoci. Non ti conosco fino a questo punto e non mi permetterei. Quello che sto dicendo è: solo dopo aver appreso tutto, puoi dimenticarti di tutto e reinventarlo. 🙂

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        • Salvatore che dire è un piacere chiaccherare con te. Forse sono stato un po’ troppo provocatorio e sono sembrato uno dei ragazzetti italiani in erba esordienti e saccenti inficiati da troppi B movie.

          Credo d’avere alle spalle una solida teoria del romanzo, ma capisco che è una mia opinione personale. Io nella mia teoria ho elaborato la concettualizzazione di un romanzo tramite strumenti nuovi quali le dinamiche.

          Dinamiche dominanti, minori, secondarie, cunei e profondità. Sarebbe complesso da spiegare. Concetti come il viaggio dell’eroe, la classica suddivisione dei tre atti, per me sono elementi superati. Non che il mio metodo sia migliore, ma credo che ciascuno debba interiorizzare la scrittura per come la percepisce.

          Dico solo che narrare in terza persona non preclude limiti se non quelli del racconto e dell’effetto che si vuol ottenere. Stacchi come quelli di Camilla, che non ho letto, sono criminali. Il lettore non va confuso mai.

          Sulla Tartt ci sarebbe molto da dire. Scrittura sapiente non c’è dubbio. Ma le sue 900 pagine potevano diventare la metà senza perdere nulla, anzi, avrebbe agevolato il ritmo. Oggi non si può scrivere un libro alla Tolstoj perché beccheresti i pomodori. Una maestria narrativa senza pari in uno stile superato.

          King è King qualsiasi cosa faccia. Dal suo On writing ho imparato tanto e soprattutto ho colto cosa intendeva realmente per cassetta degli attrezzi. Lui non parla chiaro, ma indica fra le righe.

          Non voglio tediarti ancora. Comunque mi farà piacere inviarti una copia del mio obbrobrio quando sarà il momento. Ciascun scrittore nel suo intimo è così preso dal proprio romanzo da considerarlo un capolavoro. È un peccato di cui sono cosciente e quindi non so che valore reale abbia ciò che ho scritto. Quando passerò all’editor per la revisione finale avrò già una visione più chiara. Che sia bello o brutto, funzionale o meno l’unica cosa a cui voglio ambire è la costruzione di un romanzo sincero. Questa prerogativa non può darla nessuna scaletta o abilità tecnica. Sono le parole che sgorgano dalle profondità la discriminante. Solo quelle. 🙂

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          • No, Marco, affatto. Anzi, hai arricchito questo post con il tuo intervento. Sono molto interessato al discorso sulle dinamiche. Anch’io sto cercando qualcosa del genere, pur rientrando in un contesto di narrativa più tradizionale. Tradizionale non significa per forza classica però, anzi. Attualmente sto tentando di sviluppare un onnisciente al presente che sappia di cronaca di un killer, ma cercando un maggiore coinvolgimento emotivo con il personaggio. Vedremo…
            Sulla Tartt, ma anche lo stesso King, condivido la tua opinione. Scrivono in maniera copiosa e tutti i loro testi potrebbero tranquillamente essere mozzati senza privarli di valore. C’è anche da dire che in America, gli scrittori, vengono pagati a parola…
            Mi farà piacere riceverne una copia, anche se sai che io di recensioni non ne faccio. Non ne sarei in grado, comunque. Invece ti rinnovo l’invito a scrivere un guest post su questi argomenti, se te la senti naturalmente. Credo possa interessare i lettori. 🙂

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            • Figurati. Le dinamiche sono molto interessanti perché ti permettono di schematizzare un romanzo, qualunque romanzo anche dal punto di vista grafico e riesci a cogliere la storia in tutte le sue sfaccettare. Anche perché tengono conto dell’evoluzione emotiva dei personaggi.

              Ad esempio tutti i manuali parlano del viaggio dell’eroe e dell’evoluzione del personaggio. Ma nessuno mai ti dice una cosa per me ovvia. La scaletta emotiva dei personaggi stessi. Tutti a dire di fare la scaletta della trama. Giusto. E i personaggi, in ogni punto della storia come sono?

              Le dinamiche dominanti poi possono essere multiple, divergenti, consecutive e in molte svariate forme. È affascinante. Sono concetti che ho in testa, che in qualche modo applico e scorgo dai libri che leggo, ma che effettivamente non ho sviluppato per iscritto. Mi piacerebbe condividere, purtroppo al momento non ho il tempo materiale per stendere in forma chiara l’argomento.

              Riguardo al mio libro scusami, ma hai fatto bene a puntualizzare. Io non cerco per nulla recensioni. È una strategia di marketing banale e irritante. Assolutamente deprecabile. Gli strumenti del marketing moderno sono tanti e a mio parere mal sfruttati. Vendere un libro, vendere un prodotto io ritengo che sia molto semplice. Tutto dipende dalla qualità del prodotto, non si inventa nulla. Dicevo che ti avrei mandato il libro perché penso che le novità che introduco potrebbero interessarti. 😉

              Sul guest non so, ci sarebbe tanto da dire. Sul marketing ad esempio. Dove in giro leggo sempre gli stessi concetti triti. Mai nessuno che focalizza gli aspetti del marketing, come quelli che io chiamo assiomi. Cioè i punti cardine sul quale concepire la comunicazione del proprio romanzo.
              O ad esempio un dilemma per molti autori è: come si fa a comunicare le peculiarità del libro ai potenziali lettori? In tal senso sono eccezionali le armoniche del marketing. Cioè le potenzialità di marketing estrapolate dal tuo libro. Le chiamo armoniche perché le immagino come armoniche sonore che si sovrappongo dando vita al suono col quale il tuo libro verrà percepito e si diffonderà tra i media e il passa parola. Molti che vogliono promuovere il proprio libro pensano. Questa è la trama, guarda che bella. Lo compri?
              Non è così. Dalla trama vanno estrapolati i punti cardine sui quali vertere la comunicazione a vari livelli.

              Oppure si potrebbe parlare del self publishing e del perché oggi è meglio pubblicare in autonomia e cercare l’editore in una fase successiva.
              Oppure ancora è affascinante la teoria economica del self publishing sulla quale basare la possibilità di vivere di scrittura.
              Sono onesto. Mi piacerebbe condividere molte delle mie considerazioni “bislacche” ma non ho alcuna voglia di aprire un blog. Per lavoro ne gestisco più di 50. Il mio personale non lo sopporterei.

              Però se c’è la possibilità di un guest dimmi pure su cosa parlare e ci provo, con piacere. Non sono rapido, questo lo premetto.

              Una piccola considerazione. Tu tempo fa hai parlato in un post sulle possibilità di emergere ai nostri giorni. Io credo che, seguendo un po’ di blog, stia per emergere una nuova generazione di scrittori che trova il suo humus proprio dal mondo dei blog. Così come un tempo, gli scrittori venivano fuori dai romanzi d’appendice, o dalle riviste letterarie, vedo nascere una intelligenza e una consapevolezza diffusa che grazie alla condivisione sociale può diventare qualcosa di importante. Vedo in te (e senza piaggeria), in Daniele Imperi, e in qualche altro una grande maturità artistica che cresce di potenziale e richiede soltanto di essere incanalata. Questi anni potrebbero veder nascere una nuova generazione di scrittori blogger che potrebbe lasciare il segno. Credo che siamo fortunati a vivere in questo tempo artistico, (al netto della crisi economica sociale) le potenzialità che abbiamo davanti, per emergere sono ai massimi livelli. Mai nella storia un’aspirante scrittore ha avuto tante possibilità. 🙂

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              • La difficoltà che le case editrici riscontrano oggi è causata dal numero crescente degli autori e dalla mancanza di risorse per fare un vero scouting. Non hanno neanche le risorse da investire su nuovi autori così da farli conoscere al pubblico. Quindi il self, come dici, offre delle opportunità ai nuovi autori. Anche la crisi è un’opportunità, alla fine alcuni di noi emergeranno, combattendo con le unghie e con i denti. Ma a “sopravvivere” non sono sempre i migliori, sono i più: adatti.
                Ti ringrazio per aver compreso la questione delle recensioni, se il tuo libro è valido ne parlerò naturalmente e, il passa parola, è sempre il modo migliore di farsi pubblicità.
                Sul guest, con i tuoi tempi, i tuoi impegni, e la tua volontà, scegli semplicemente di che parlare. Mi sembra che di argomenti ne hai tirati fuori diversi. Non posso davvero dirtelo io, sarebbe come ingabbiarti. Tira fuori un articolo tra le mille e le duemila parole e vediamo se riusciamo a illuminare le menti che ci leggono (comprese le nostre). 🙂

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        • Questa discussione nella discussione è interessante, ed esce dal coro dei soliti commenti di plastica. Malgrado qualche perplessità ci sono spunti che finora non ho trovato in nessuna parte del web. Questo Marco Amato è da tenere d’occhio (con una cinepresa)…

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          • Grazie,
            ma basta che con la cinepresa non si entri pure nel mio bagno. Alla privacy al contrario di coloro che regalano i propri contenuti su Facebook, ci tengo… 🙂

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  3. Bello dare un nome alle cose, categorizzarle, scoprire che il tuo stile rientra in una regola o in una tipologia etichettabile, però poi, in fin dei conti, a che serve sapere di essere quelli della terza, seconda o prima persona narrante? Quando scrivi cerchi di dare ad ogni voce un certo equilibrio, provando a creare una sorta di armonia nella narrazione e non credo venga spontaneo calcolare da dove guardare la scena, se dal basso, dall’alto, accanto al protagonista o lontano da questi; chi scrive lo fa con il solo intento di dare efficacia e credibilità a ciò che sta raccontando, a prescindere da formule predefinite.
    Detto ciò, sappi, caro Salvatore, che la tua dettagliata trattazione mi ha comunque incuriosito molto e ti ringrazio per avermi reso parte di essa riportando quel mio piccolo racconto come esempio.
    Da ora in poi potrò dire che spesso, quando scrivo, uso la “terza persona limitata soggettiva”.
    E non so se mi spiego!

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    • È stato un piacere. 🙂
      Certo, quando si scrive lo si fa istintivamente. Anche se… a dirti la verità, prima di iniziare, io scelgo sempre con quale narratore raccontare una certa storia. La scelta può essere istintiva e, se ci rifletti bene, ti accorgi che vale anche per te. Una certa storia di viene da raccontarla in un certo modo, o di farla raccontare a un certo personaggio, ma è sempre una scelta. Prova a immaginare quanto tempo Manzoni deve aver perso in una scelta del genere.
      In fondo se una storia la racconto in prima o in terza persona, la differenza ci sarà alla fine no? Saranno addirittura due storie totalmente diverse.
      Detto questo, anch’io non sono per la catalogazione nevrotica di ogni cosa, anzi. Mi piace immaginare una storia, posare le mani sulla tastiera e andare come il vento: libero. Tuttavia, almeno in fase di revisione, controllare che il punto di vista sia omogeneo, o che se cambia lo faccia per una ragione e nel modo opportuno, rende alla fine la tua opera più completa e comprensibile per il lettore. In definitiva: più bella.
      C’è, credo, anche un’altra questione: la consapevolezza. È meglio essere consapevoli che si sta usando, ad esempio nel tuo caso, una terza persona limitata soggettiva, oppure no? Su questo lascio che rispondiate voi, perché potrei non essere eccessivamente sicuro della risposta. 😛

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      • Beh, adesso sto provando ad immaginare Manzoni confuso e concentrato a dare giusta collocazione ai suoi personaggi attraverso terze, prime persone, onniscienti, limitate, soggettive e non…
        No, proprio non glielo vedo!!!
        Però si, è vero, qualcuno deve pur dirlo che esistono dei modi che caratterizzano la nostra scrittura e se ne parlano i manuali vuol dire che sono stati fatti studi a riguardo che non possiamo sottovalutare. Io ne prendo atto e mi porto a casa un nuovo piccolo bagaglio di conoscenze! 🙂

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        • Per Manzoni, con i “Promessi sposi”, credo che la sua sia stata una scelta molto meditata. Tanto da doverle trovare una giustificazione: il manoscritto trovato all’inizio della storia. Stessa cosa avviene con “Il nome della Rosa”, di Umberto Eco, anche se con risultati diversi. I grandi autori hanno sempre dimostrato mi meditare a lungo su che persona usare, quindi a quale personaggio affidare la narrazione. Una volta ho letto da qualche parte, non ricordo più dove, che non se ne può fare semplicemente a meno…

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  4. Io sono storta come una mina. Credo di essere l’unica al mondo a trovarsi bene con la terza limitata e la prima persona e malissimo con l’onnisciente (che puntualmente finisce per entrare nel cervello di un personaggio e per diventare una terza limitata). Dovrei farmi curare!

    Nonostante ciò, a volte l’uso della terza limitata mi fa porre delle questioni:
    Esempio 1 – Se il punto di vista è di Nico, io non posso scrivere “Nico non sapeva cosa stava succedendo a casa sua”… ma se si tratta di un flashback? In questo caso, ora Nico lo sa, quindi una frase come questa potrebbe non essere un errore. Al momento la frase è evidenziata in giallo in attesa di capire cosa farmene.
    Esempio 2 – Se un personaggio ha un pdv in terza persona limitata può dire che “si sdraia sul suo letto” o è meglio “sul proprio letto”?
    Esempio 3 – Se un personaggio che ha il pdv è, p.e., con suo padre, devo scrivere “tizio vede suo padre avvicinarsi alla finestra” per renderlo più realistico ma moooltooo pesante oppure va bene usare il nome di battesimo? Di solito è considerata una soluzione accettabile, ed anche io faccio così. Però non è precisissima.

    Okay. La mia pignoleria fa schifo. 😉

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    • La tua pignoleria è ciò a cui mi affido per i miei scritti, quindi che lo sia pure! Per quanto riguarda i tuoi dubbi (e se hai dubbi tu, figurati io…):
      1. Credo dipenda dal contesto, solo quella frase è un po’ poco per giudicare, ci possono essere mille motivi per cui, Nico, dice a se stesso di non sapere cosa stia accadendo a casa propria e questo al di là del punto di vista;
      2. Credo sia più giusta: “si sdraia sul suo letto”;
      3. Non credo di aver ben capito, comunque il nome di battestimo è sempre un ottimo espediente. 😉

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      • Per il punto 3 mi spiego meglio.
        Siccome a filtrare la scena è il personaggio, con il suo sguardo, l’autore deve cercare il più possibile di rimanere attaccato al suo linguaggio e alla sua percezione.
        Se io sono chiusa in una stanza con mia mamma, e la vedo avvicinarsi alla finestra, non penso “Daniela si avvicina alla finestra”, ma penso “mia mamma si avvicina alla finestra”… solo che scrivere un intero testo così è una palla mostruosa. Il nome di battesimo, per quanto impreciso, va benissimo! 🙂
        Per quel che riguarda “proprio”/”sua” anche questa lieve discrepanza è concessa, perché proprio è bruttissimo (stavo per scrivere “proprio è proprio brutto!) anche se più adatto in questa circostanza.
        Quanto al “Nico non sapeva”, potrebbe sembrare l’incursione di un onnisciente. Magari dopo la revisione ti faccio leggere la scena con la frase incriminata!

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  5. Lo sapevo che dovevo fare il carabiniere, è quello il lavoro che mi viene meglio. Solo che non sapevo che i carabinieri verbalizzanti fossero dei narratori in terza persona limitata oggettiva, credevo fossero solo in terza persona limitata… Comunque, signor Anfuso, è atteso in questura per sviluppi sulla sua denuncia. Presentarsi entro giorni tre a partire dalla presente notifica, con tutti i post del suo blog stampati su carta formato A4, come da richiesta del giudice.

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  6. Molti grandi autori usano il narratore onnisciente, per esempio Ken Follett.
    Perché dici che non può esprimere i pensieri dei personaggi? Quando leggi “pensò”, quello è esprimere.

    La terza persona limitata soggettiva ha senso se il protagonista è sempre presente, altrimenti devi buttarti sulla multifocale.

    Concludo dicendo che io con la nomenclatura faccio a botte, quindi quando scrivo, non sto davvero a badare a queste cose. Se mi viene la prima, scrivo in prima, altrimenti in terza. Ecco le mie uniche differenze 🙂

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    • Nell’onnisciente il narratore è, o può essere, a conoscenza dei pensieri dei personaggi e li può anche rendere noti se lo ritiene conveniente all’economia della storia. Quello che invece non può fare è esprimerli come se fossero il punto di vista diretto del personaggio in questione. La linea in alcuni casi può essere sottile, me ne rendo conto, e io per primo non sono così fiscale… c’è chi lo è per me. 😛

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        • Gli esempi ci sono, li ho inseriti apposta. Tra il mio testo e quello di Marina non noti nessuna differenza? 🙂
          Per intenderci: il personaggio descritto da Marina è narrato in terza persona, ma trattato come se parlasse al lettore di se stessa; nel mio testo, invece, nessuno dei personaggi, pur narrati in terza persona, “parla” di sé. Qualcuno, il narratore onnisciente, dall’esterno dice al lettore chi sono, cosa fanno, cosa si dicono e come agiscono, perfino cosa pensano (non in questo caso) se lo ritenesse opportuno, ma nessuno dei personaggi “parla”, seppure in terza persona, di sé. Non so se sono riuscito a spiegarmi… 😛

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  7. Ho pensato che potesse essere utile al discorso segnalare un libro che ho appena iniziato a leggere (e che, peraltro, promette molto bene!). Si tratta di “Luce d’estate ed è subito notte” di un autore islandese, Jon Kalman Stefansson, che – e qui viene la sorpresa- utilizza uno strano, un pò stonato, ma molto funzionale “noi narrante” ! Scommetto che questo ti mancava!
    Questo l’incipit: “Stavamo quasi per scrivere che la particolarità del paese consiste nel non averne nessuna, ma in effetti non è del tutto vero”.
    Buona giornata!

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  8. Sono abbastanza legata alla terza persona limitata multipla di tipo ravvicinato, perché è intensa e mi permette di seguire gli aspetti psicologici dei personaggi senza diventare soffocante come la prima persona. La terza limitata oggettiva, di cui Helgaldo ha dato un esempio, sembra meno strana quando è al passato remoto. Carver credo la usasse spesso. Il narratore onnisciente, invece, non ce lo vedo molto nel vecchietto pettegolo (e negli altri personaggi che hai citato). Per quanto pettegolo, tutto non potrebbe sapere! Il narratore onnisciente vede e sa tutto anche dell’interiorità dei personaggi, conosce già il finale… è difficile immaginarlo come una persona, in effetti.

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    • In che senso non vedi il veccietto come narratore onnisciente? La scenetta non è raccontata da lui infatti. Non ho capito cosa intendi… o.O
      Carver non l’ho mai letto. Potrebbe essere un’idea, sai? Tu l’hai letto? Titoli da consigliare?

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      • Credo che Carver abbia scritto solo racconti. Ho preso dalla biblioteca una sua raccolta, tempo fa, ma non ricordo il titolo. Mi affiderei alle stelline di Amazon.
        Volevo dire che il narratore onnisciente non è propriamente un personaggio, a meno che l’autore per finzione immagini un personaggio in questa veste divina. Il narratore onnisciente può raccontare pensieri e sentimenti del personaggio, e anche vedere la realtà attraverso i suoi occhi, perché no? E’ onnisciente! Per questo dicevo che non ce lo vedo come parrucchiere pettegolo o vecchietto, a meno che non sia anche mago. 😉

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        • Ah, ok, ho capito. Non hai tutti i torti. Diciamo che qualsiasi personaggio potrebbe essere un narratore onnisciente, con le giuste premesse. Spesso si usa un pretesto, tipo: il tizio che ritrova un manoscritto risalente a qualche secolo prima (ti ricorda qualcosa?), oppure potrebbe anche funzionare lo spettatore che racconta molti anni dopo la sua versione di una storia di cui è stato testimone. In questo secondo caso, il narratore, non può conoscere i pensieri dei personaggi, ma potrebbe dare la sua opinione “a posteriori” delle azioni compiute da qualcun’altro molto tempo prima. Sai, con il senno di poi… Insomma, con il narratore onnisciente, il pretesto va trovato. Il mago, nel senso di astrologo “so tutto io”, potrebbe essere un’idea da sfruttare… 😛

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  9. Premesso che ho apprezzato molto il post, sto per dire un’eresia.
    Penso che gli scrittori alle prime armi siano un po’ ossessionati dalla focalizzazione. La scelta del narratore è importantissima. Interno o esterno? Esterno con che focalizzazione? È una scelta che va fatta con consapevolezza e non c’è un’opzione “più facile di un’altra”. Dipende dalla storia (ho trovato difficilissimo scrivere un romanzo in prima persona e ritengo tutt’ora che sia una maledizione degna di un girone dantesco “tu scriverai per l’eternità tomi da 1000 pagine tutti in prima persona!” ).
    Però all’interno della terza persona piccole sbavature sono ammesse. Nella maggior parte dei grandi romanzi ci sono e a)nessuno che non sia fresco di studio di tecniche di scrittura se ne accorge b)non pregiudicano la comprensibilità del testo.
    Quindi la mia idea è:
    – La prima persona non ammette errori
    – Le varie focalizzazioni della terza persona vanno conosciute e scelte con coscienza, ma non devono diventare ossessione.

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    • Non hai tutti i torti. Anzi, credo sia normale che uno scrittore in erba si concentri molto di più sulla tecnica, diversamente da un veterano. Anche se non me lo vedo Umberto Eco fare qualche errore grossolano in tal senso… Proprio a uno scrittore in erba, infatti, pensavo quando ho detto che la prima persona è la focalizzazione più facile. Se non hai alcuna esperienza di scrittura è così, nel senso che la prima persona la usi, magari anche bene, la terza no, ma proprio no! Per uno scrittore di esperienza, invece, potrebbe essere addirittura il contrario, su questo hai ragione. In fondo la prima persona richiede una grande immersione con il personaggio… A proposito, hai letto il mio post su: scrivere con il metodo Stanislavskij? 🙂

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    • Concordo, prima bisognerebbe chiedersi che effetto si vuole ottenere – se azione o psicologia, tanto per estremizzare – e poi scegliere il narratore.
      Però ammetto di non apprezzare troppo i POV: ti costringono a una narrazione scenica e cinematografica, e, anche usando l’indiretto libero, mi sembra tutto troppo macchinoso, ecco. Al contrario l’onnisciente neutrale – Zola, Mccarthy e via di seguito – è, almeno per me, quello più versatile e divertente.

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      • L’onnisciente però non ti permette di scendere nella psicologia del personaggio, di vedere il mondo dai suoi occhi. Per farlo bisogna creare tutta una rete di azioni e reazioni che piano piano, nel loro insieme, svelino il punto di vista del personaggio. Bisogna essere scrittori davvero bravi…

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        • Buongiorno ^^.
          Non so, io trovo più difficile intrecciare pensieri e azioni con il linguaggio del personaggio,e, in un PDV multiplo, creare una polifonia di psicologie diverse tra di loro, anche come suono.

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  10. Sono contenta per il commento di Tenar perché ad essere sincera non so quanto riuscirei a rimanere nei parametri di un tipo di narratore. Per il resto ho riso un sacco a leggere i vari commenti (e il post è molto bello). Si potrebbe intervistare meglio la cameriera filippina di casa Fuso? 😀

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    • Grazie. 🙂
      I parametri vanno rispettati comunque, nei limiti certo, ma con il tempo lo si fa istintivamente. La filippina, a quest’ora della notte (sono le sei del mattino adesso), dorme… 😉

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  11. Pingback: Chi narrerà la tua storia, scrittore? | Salvatore Anfuso

  12. Secondo la mia esperienza, il narratore onnisciente è l’ideale per la “conduzione” del racconto, presenta e allestisce la scenografia, fornisce indizi sulla trama fin dall’incipit e descrive i personaggi affinchè il lettore , da fruitore passivo, diventi pian piano, quasi senza rendersene conto, protagonista egli stesso. Un esperto ed abile narratore onnisciente intercetta ed accoglie le fantasie di chi legge: le assicuro che non c’è partecipazione più attiva! Me lo dice spesso chi legge ciò che scrivo.

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    • Però è un tipo di narrazione Ottocentesca. Oggi vanno maggiormente di moda la prima persona o la terza focalizzata, che hanno il merito di far aderire meglio il lettore alle emozioni del protagonista.

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  13. Ciao Salvatore, ti seguo silenziosamente già da un po’ 🙂
    Ti vorrei chiedere: immaginando di stilare una sorta di “vademecum della terza soggettiva limitata”, a quali trappole occorrerebbe prestare maggiore attenzione nel suo impiego, perché più insidiose, da parte di un esordiente? Faccio banali esempi, che tuttavia già mi creano qualche difficoltà: una descrizione dettagliata della scena, è ammessa? (ex: scese dal treno. La stazione era insolitamente vuota. Solo una coppia di anziani passeggiava su e giù per la banchina, senza fretta. Eccetera..) Oppure: riferirsi spesso ad episodi accaduti nel passato del protagonista, o ai suoi stati d’animo, è lecito no? (Era spaventato. Non metteva piede in quel locale da quando suo fratello lo aveva ecc..)
    Ti sarei molto grato se eliminassi questi miei dubbi!

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    • ps: quanto invece a commenti espressi da chi scrive durante la narrazione? del tipo “come ognuno ben sa” oppure “le cose a volte vanno proprio come non devono andare, non c’è niente da fare” e simili.. sono rigorosamente vietati adottando quel punto di vista immagino… insomma rappresenterebbero un “errore” nell’ottica di una aderenza almeno “formale” a tale modalità narrativa?
      Qui la pianto, promesso! 😉

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      • Ciao Luca, benvenuto. Gli esempi che fai nel primo commento sono tutti plausibili con la terza persona in soggettiva limitata. Invece i commenti, nel tuo secondo intervento, non solo sono brutti, ma no: non hanno spazio nel tipo di soggettiva che hai scelto. Ricorda che solo due tipi di scrittori si rivolgono direttamente al lettore o commentano da narratore esterno quello che sta succedendo nella narrazione: quelli molto esperti o gli aspiranti scrittori alle prime armi. Nel dubbio…

        Mi chiedi quali sono le trappole da evitare con la terza persona in soggettiva limitata. Non starei a fare una didascalia della casistica. Mi limito a farti notare che se il punto di vista è quello del personaggio, per non uscire dal tempo scelto tutto quello che descrivi, dici, racconti, eccetera deve passare dai suoi occhi: non può leggere nella mente degli altri personaggi, non può sapere cose che già non sapeva o che non è in grado di intuire da solo, tutto quello che descrivi deve poterlo vedere o dedurlo senza interventi esterni. In pratica ti devi immedesimare nel personaggio. Non è molto diverso dallo scrivere in prima persona, solo che lo fai in terza.

        Spero di esserti stato d’aiuto.

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        • Si si grazie mille 🙂 Si trovano a volte esempi piuttosto fuorvianti (se non palesemente errati) in rete.
          Un’ultima riflessione: con la prima persona io narratore e protagonista, raccontando oggi un’avventura da me vissuta (quindi passata), sono libero di scrivere ad esempio: “andai a quella festa solo perché me lo aveva chiesto lei. Se avessi saputo che vi avrei trovato (…) non avrei mai accettato” (sto buttando esempi a caso ovviamente). Ecco la “conversione” di un simile passaggio narrativo dalla prima alla terza denuncerebbe inevitabilmente un punto di vista onnisciente. In altre parole un simile effetto è intraducibile nella terza soggettiva limitata, pena l’emergere del narratore onnisciente. Quindi l’io narrante della prima persona è in realtà “onnisciente” almeno per tutto quello che lo riguarda, e dispone dell’intero tempo della (sua) vicenda. Chi scrive in terza limitata è sempre vincolato invece non solo allo sguardo del protagonista che segue, ma pure alla costante attualità di quello sguardo… insomma per scrivere in questo modo ci vuole tanta pazienza… ahah!

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          • Non è che la prima persona sia “onnisciente”. Anch’essa ha i suoi limiti. È semplicemente un modo diverso di narrare. Qualcuno dice di evitare di scrivere in prima persona, a meno che non si trovi una voce forte. Ultimamente il rispetto del punto di vista non è più considerato indispensabile. Leggi, se ti capita, Il gabbiano Jonathan Livingston: il punto di vista viene incrinato molte volte.

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