terza persona narrante

… quando non servono strade giuste,

ma il giusto narratore

Cari follower, so che aspettavate questo momento. Vi siete trascinati per tutta la settimana in un’ansia asmatica, da prestazione post-mestruale, solo per la tensione di poter leggere il seguente articolo. Ebbene, il tempo è giunto. Adesso potete tirare un sospiro di sollievo, strappare il testamento redatto malamente in presenza del vostro labrador, e voltare finalmente pagina. Oppure…

Potreste continuare a leggere, dandovi l’opportunità di: scoprire regni utopici in cui la fantasia è normalità; galleggiare su oceani di pensieri percorsi da ondate di parole deliranti; immergervi in sostrati di avverbi, di modo (leggi: lentamente), o di tempo (leggi: immediatamente), cozzanti con aggettivi qualificanti (leggi: romboidale); regnare su consonati sibilanti e virgole punteggianti; poiché l’argomento di questo post è: narrare, sì, ma in terza persona.

Incipit numero 2

Capisco, preferite la normalità di un linguaggio armato di senso. Bene, concordo. Dunque, la volta precedente abbiamo parlato di scrittura in prima persona, sia al presente, sia al passato. Oggi, se riuscirò a essere serio ancora per qualche riga, potremmo parlare della scrittura in terza persona.

«Ragazzo, ti vedo un po’ affaticato».

«Tranquillo, vecchio mio, sto bene. Solo, non avevo mai scritto “mestruale” prima d’ora».

«Ti capisco. Ma alla tua età saprai che capita, no? Almeno una volta al mese. Vieni, ti spiego un po’ di cose».

Onniscienza limitante

Il primo vero bivio che si incontra quando si decide di scrivere una storia in terza persona, è la scelta tra un punto di vista onnisciente e un punto di vista limitato. Ma è un discorso ancora prematuro, facciamo un passo indietro.

Narrare in terza persona significa affidare la narrazione a un personaggio che vede o conosce la vicenda senza esserne protagonista. Se fosse il protagonista a narrarla, la racconterebbe in prima persona, giusto? Ad esempio, quando vado al bar a trovare gli amici (cioè mai) e racconto loro della biondona incontrata al supermarket (impossibile), lo faccio sempre in prima persona:

“La vidi sbucare dalla corsia dei latticini, e una fitta mi colse al basso pancreas. Lì per lì pensai si trattasse di colite derivante, per allergia intestinale, invece era stata la sua chioma color pannocchia tostata ad avermi sollecitato istinti animaleschi. Gambe scolpite a forma di grissini integrali, due pere lattee come mozzarelle di bufala e un gran culo tondo da mortadella DOP. Non potevo resistere. Mi avvicinai sicuro, sprizzando Smarties da ogni poro, e le chiesi: «Mi scusi, ha per caso visto la corsia dei candìti? Muoio dalla voglia di sgranocchiarli sul tuo corpo nudo». La frase fece effetto, e ne fui fiero, almeno fino a quando non giunse la polizia…”

Ma noi, questa storia, la vogliamo raccontare in terza persona… giusto? Quindi a raccontarla non sarà il protagonista, che sprizza Smarties da ogni poro e solo per questo è una cosa brutta da vedere; la dobbiamo affidare a qualcuno che era presente e, allo stesso tempo, estraneo (ma anche no) ai fatti. Scartiamo dunque il protagonista, come dicevo, ma anche la “biondona”. Se la narrasse lei, la storia, la narrerebbe sempre in prima persona (essendo coinvolta), benché da un punto di vista opposto rispetto al precedente.

Guardiamoci intorno allora. Chi ci sarà al supermarket? Be’, tra la fauna tipica ci sono sempre i pensionati. Concordate? Dunque, poniamo che uno di questi vecchietti infoiati stesse facendo la spesa giornaliera proprio in quel momento (perché loro, i pensionati, avendo molto tempo a disposizione e nessun interesse sopravvissuto all’Alzheimer, la spesa la fanno giornaliera). Come la narrerebbe questa vicenda? Vediamo:

«Psh. Ehi, vecchio, tocca a te…»

«Chi, io?»

«Sì, proprio tu».

«Ma… ma non sono uno scrittore, io».

«Su, dammi una mano. Mi segui da mesi, leggi tutto quello che scrivo… avrai imparato qualcosa, no?»

«Ad essere sincero, anche se ricordassi quello che ho appena letto e non lo posso giurare, non credo di averti mai veramente capito, ragazzo».

«Ci stanno leggendo… Aiutami, su».

«Ci stanno leggendo? Vuoi dire proprio ora? In questo momento?»

«Sì, certo. Non li vedi? Solo lì, dietro i monitor».

«Oh mio dio… Ehm, saaalve».

«Dai, incomincia».

«Ma non so cosa dire!»

«La bionda. Inizia da lei».

Scrivere in terza persona

«Ci può dire cosa ha visto?» chiese la guardia.

Il vecchio si schiarì la gola riarsa e catarrosa, e si mise in posa declamatoria: mento alto, culo a ponte, gamba destra − quella operata all’anca − leggermente convessa, una mano appoggiata con nonchalance sul carrellino della spesa, l’altra a sostenere l’ernia lombo-sacrale. Guardò il poliziotto cercando di metterne a fuoco il volto, ma rinunciò quasi subito a causa della cataratta inoperabile su ambo gli occhi.

«Certo, agente: posso. O meglio, potrei».

La guardia, già armata di taccuino, alzò uno sguardo aggrottato sul volto anziano.

«Era o no presente al momento dei fatti?»

«C’ero, lo giuro» rispose prontamente il vecchio. Scattò sull’attenti portandosi una mano sul cuore.

Per un lungo istante lo sbirro ponderò la situazione. Era indeciso se congedare il vecchio per senilità presunta o carcerarlo per sfottò reale. Infine si decise per la terza via.

«Non c’è alcun bisogno che giuri, non sono un giudice. Si limiti a raccontare ciò che ha visto». Premette quindi il pirulino della biro innescandone la punta.

Per la seconda volta il vecchio si schiarì la gola. «Dunque, era almeno dal ‘76 che non vedevo un culo così, mi scusi la locuzione, a mandolino come quello della mia povera moglie».

«È vedovo?»

«No, nient’affatto».

«Ha detto: “come quello della mia povera moglie”, mi pare» insistette il poliziotto.

«Sì, esatto. Ho detto proprio così. Vede, nel ’76 anche mia moglie aveva un bel culo a mandolino. Adesso, invece…» Il vecchio scosse la testa sconsolato.

Con un lungo sospiro rassegnato il poliziotto si arrese al proprio destino: «Andiamo avanti, mi spieghi cos’è accaduto».

«Sì, giusto giusto. Dunque, era almeno dal ’76 che non vedevo un culo così…»

Conclusioni

 Come avete letto, diversamente dalla prima persona, la narrazione in terza ha molti meno limiti. Il punto di vista esterno permette di giocare con la scena e di far muovere i personaggi nel modo che c’è più gradito. Possiamo passare da un personaggio all’altro, possiamo descrivere molti più dettagli o sempre gli stessi, ma visti da punti di vista differenti. Anche i dialoghi diventano molto più vivaci, così come la scena. La narrazione perde l’introspezione, lenta e noiosa, tipica della prima persona e acquista vigore, colore, movimento.

Qual è allora il limite della terza persona? Sono due. Il primo è: la coerenza del punto di vista. Si potrebbe opinare che anche per la prima persona c’è un problema di coerenza. Vero, ma essendo univoco il punto di vista (il protagonista narrante) è molto più facile tenere la scena, cioè diventa più improbabile commettere qualche errore. Il secondo limite riguarda il distacco dalla vicenda. Viene meno il pathos e il lettore si sente meno coinvolto. A causa della terza persona si erge un muro tra lui, cioè il lettore, e il protagonista.

Un modo per superare questo distacco è usare la terza persona in modo diverso da come l’ho usata io. Avete sicuramente fatto caso che, nella scenetta appena letta, il vecchietto non ha raccontato nulla. Gli daremo questa opportunità la prossima volta, così avrà modo di prepararsi meglio e superare l’ansia da prestazione. Ma vi starete chiedendo: chi ha narrato allora la scena ? La risposta è semplice: io, il narratore onnisciente.

Un modo per usare la terza persona, infatti, è proprio questo. Essendo onnisciente, so tutto su quei due personaggi, ma non entro mai nella vicenda. Questo perché, da onnisciente, mi limito a descriverla asetticamente, narrandola per come è, offrendo anche giudizi o interpretazioni e spostandomi insindacabilmente da un personaggio all’altro a mio piacimento, ma senza offrire mai il loro punto di vista diretto.

Per entrare maggiormente nella storia e offrire un taglio più emotivo, evitando però la prosa in prima persona, avrei dovuto adottare un punto di vista sempre in terza persona, ma limitato (solitamente soggettivo). Lo vedremo meglio al prossimo articolo di questa serie. Per il momento ciò che mi interessava era mostrare le differenze tra la prima e la terza persona narrante.

E tu, caro follower, quale persona adotterai per il tuo prossimo romanzo?

Continua…

______________

Nota

I dialoghi sono frutto della mia fantasia, così come la vicenda narrata.

44 Comments on “Scrivere in terza persona”

  1. Pingback: Scrivere in prima o in terza persona? | Salvatore Anfuso

  2. Esistono moltissime storie narrate in terza persona che utilizzano il punto di vista del protagonista. Anzi, ritengo fondamentale che questo avvenga se si vuole garantire l’immedesimazione.
    Il vantaggio che offre, rispetto alla prima persona, è quello di poter uscire dalla testa del protagonista per entrare in quella di altri personaggi, offrendo al lettore maggiori possibilità di identificarsi ed arricchendo la narrazione grazie a “voci” diverse.
    è vero anche, come dici tu, che con la terza persona sarebbe opportuno non limitarsi all’unico PdV del protagonista. Altrimenti, tanto vale usare la prima. 🙂
    Con l’onnisciente non mi sono mai trovata molto bene.

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    • Le due possibilità – onnisciente o limitata – che offre la terza persona le approfondirò meglio nel prossimo articolo. In questo, più che altro, volevo mostrare le differenze tra la prima e la terza persona. So bene che sei solita usare una terza persona limitata multifocale. Anche se… credo, che passare troppo spesso dalle spalle di un personaggio a quelle di un altro possa scombussolare un po’ il lettore a lungo andare. A quel punto, se i personaggi sono molti, è meglio l’onniscente.
      Fra gli autori che sto leggendo attualmente, quello che lo fa meglio è Marco Malvaldi, con i suoi: “Delitti del BarLume”. Lo consiglio, se ti va di approfondire la terza persona onnisciente.

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      • Il segreto per gestire bene la focalizzazione multipla è fare in modo che ci sia un punto di vista dominante (quasi sempre quello del protagonista) e non se ne usino troppi. Direi che quattro o cinque possano bastare. Al limite ci può essere qualche inserimento estemporaneo.
        Se l’autore è bravo ed esperto se ne possono usare anche 1000, ma non è il mio caso.
        Il romanzo che ti ho suggerito ad esempio usa tantissimi punti di vista, saranno almeno una trentina, ma quello del protagonista non compare MAI. è sempre visto soltanto dall’esterno, talvolta anche da personaggi irrilevanti per la storia. Eppure non ci si sente sballottati e la vicenda si segue benissimo.

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  3. L’onnisciente lo trovo davvero freddino, mentre la terza limitata per me è calda come una prima persona, ma più equilibrata. Però aspetto il prossimo articolo, così non anticipo.
    (Ehi, ma ti capita di usare il passato remoto mentre parli con gli amici al bar?)

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  4. Dopo una defatigante mattinata trascorsa tra ingarbugliate elucubrazioni mentali e tabelle di marcia da rispettare (medico per le ricette, posta per i bollettini, supermercato per la spesa), M. decide di prendersi una pausa. Si butta sul divano, si toglie le scarpe e con grande sollievo apre il suo I-Pad per dedicare un po’ di tempo alla lettura. Una spunta nella casella di posta elettronica le notifica l’arrivo di un messaggio: un post pubblicato nel blog di Salvatore Anfuso guadagna la sua attenzione. Sulle prime, M. pare molto incuriosita dal contenuto dell’articolo, l’uso della terza persona quando si scrive è un interessante argomento da trattare, poi, ad un tratto, qualcosa la distrae, istintivamente spinge indietro la schiena schiacciandola contro il cuscino della spalliera, alza lo sguardo dal tablet e viene rapita da un ricordo recentissimo, si direbbe un flash che la ingabbia dentro un breve viaggio temporale risalente ad appena qualche ora prima. Quel supermercato, quella domanda: “mi scusi, sa dov’è la corsia dei canditi?”, la sua misurata risposta: “ce li ha proprio davanti” e lo sguardo improvvisamente raggelato di fronte alla sfrontatezza dello sconosciuto avventore che le rivolge un imbarazzante “muoio dalla voglia di sgranocchiarli sul suo corpo nudo”.
    Ricorda ancora il tonfo sordo e secco della sua mano ben piazzata su quella guancia paonazza e lo sguardo smarrito e sorpreso degli astanti.
    Beh, forse aveva esagerato a chiamare la Polizia…
    Quando quel flashback si richiude, M. ritorna sulla pagina del blog e con un rinnovato interesse finisce di leggere l’articolo di Salvatore.
    “Chissà se la guancia gli brucia ancora” – pensa. E sorride.

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  5. Io preferisco la terza con cambi di punto di vista secondo il capitolo. Ho visto che anche in Mondo senza fine di Follett è stato così e funzionava.
    Non mi sembra però che sia mancato il pathos, anzi.
    Quindi credo sia stato un punto di vista soggettivo.

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    • Con la terza persona limitata soggettiva (sembra quasi una malattia) il pathos emotivo c’è eccome, perché simula in modo molto affidabile la prima persona senza, tuttavia, la pedanteria della prima persona. Ne parliamo nel prossimo articolo però. 😉

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  6. La terza persona onnisciente funziona molto bene narrazioni virate al comico, come Malvaldi dimostra (alcuni suoi incipit sono fantastici). A me non piace molto, oscillo tra prima persona (che comunque nelle storie lunghe, come dicevo, trovo faticosa da gestire) e terza limitata. Non mescolo neppure mille punti di vista, di solito due o tre mi bastano e avanzano.

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    • Concordo, anche se con il romanzo sto provando un onnisciente al presente. Questo perché sa quasi di cronaca nera da serial killer. Funziona, però il distacco tra i personaggi e il lettore, accentuato dal presente usato in maniera asettica, crea una barriera molto forte. Credo che virerò anch’io verso la terza persona limitata. Concordo anche sul non mettere in campo troppi personaggi principali, in genere mi disturbano. Un paio sono già molti. Forse troppi. Il romanzo classico prevede un solo eroe.

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  7. OGGETTO: Principio di rissa in supermercato tra la sig. ra Guarneri Marina e il sig. Anfuso Salvatore

    Il giorno 14 alle ore 15.30 circa in via (omissis) nr. 13 negli uffici del Comando Stazione Carabinieri, i sottoscritti ufficiali di P. S. Maresciallo Capo (omissis), comandante della Stazione e M.llo (omissis), conducono le persone dei signori Guarneri Marina e Anfuso Salvatore.

    Alle ore 15.00 circa odierne venivano contattati via radio dalla C.O. Carabinieri di (omissis) che riferiva di dirigersi prima possibile al supermercato posto in via (omissis) richiesti dal direttore del suddetto esercizio commerciale. Intervenuti prontamente trovano le succitate persone in atto minaccioso reciproco. La sig.ra Guarneri, in arte scrittrice, nonché titolare del blog denominato “Il taccuino dello scrittore” brandisce una scatola di tonno e minaccia di lanciarla nella direzione del succitato Anfuso Salvatore, aspirante scrittore, nonché titolare del blog denominato “Salvatore Anfuso”, con lo scopo di procuragli un danno fisico.
    L’Anfuso, chiede aiuto ai Militari, mentre cerca di ripararsi dietro uno scaffale di smarties allo scopo di evitare l’oggetto contundente. Chiede di essere condotto al Comando al fine di sporgere regolare denuncia nei confronti dalla Guarneri, dichiarando in un secondo tempo di avere ricevuto un sonoro schiaffone dalla succitata signora.
    La Guarneri, sentita in merito alla dichiarazione dell’Anfuso dichiara a me personalmente di avere subito molestie verbali dal signore succitato, tese a ottenere favori sessuali usando doppi sensi di dubbia moralità.

    Copia del presente verbale viene consegnata a entrambi gli interessati e copia verrà trasmessa quanto prima all’A. G. di (omissis) per gli scopi di legge.
    Riletto, confermato e sottoscritto in data e luogo di cui sopra.

    I VERBALIZZANTI
    Maresciallo (omissis)
    Guarneri Marina
    Anfuso Salvatore

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    • Grazie Hel, anche se scritto un po’ troppo bene per essere un verbale della polizia, questo è un ottimo esempio di terza persona limitata oggettiva. Lo utilizzerò, assieme a quello di Marina, come esempio per il prossimo post sull’argomento.

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  8. Ah era Marina? Meno male perché quando ho letto del culo a mortadella pensavo di essere stata pedinata… invece dell’amaro in bocca, questa vicenda mi lascia solo una gran fame.
    Dunque vediamo se di nuovo pensavo di aver capito e invece non avevo capito: se il narratore parla dalla spalla del protagonista è una terza limitata, se il narratore si sposta di spalla in spalla è onnisciente. Adesso però state dicendo che onnisciente lo è solo se guarda dall’alto senza identificarsi? Quindi se cambia spalla ma descrive i motivi e i sentimenti dei personaggi è un multiplo limitato?

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    • Adesso vogliamo la foto! Hai detto di avere un culo a mortadella, quindi è lecito chiederne le prove. 😛
      In linea di massima, se:
      1. Gli occhi della telecamera corrispondo al personaggio, si tratta di prima persona;
      2. Gli occhi della telecamera stanno alle spalle del personaggio, si tratta di terza persona limitata;
      3. Gli occhi della telecamera osservano la scena dall’alto, si tratta di terza persona onnisciente.
      Naturalmente è più complicato di così, inoltre si può giocare creando tanti confini ed effetti. 🙂

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      • Non è un bel vedere… comunque mi metto subito a cercare le calze a rete per la foto.
        1. ok
        2. e non può mai fare un salto sulla spalla di un altro?
        3. e non può mai zoomare giù per un minuto?
        Visto che siamo in tema di salumi… sai qual è il difetto più grosso degli uomini? Che per avere il salame devi comprare tutto il maiale 🙂

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        • Il maiolotto è compreso nell’offerta! 🙂 Ma non serve sempre comprarlo tutto, ci si può limitare al salame una tantum.
          1. Ok;
          2. Sì, certo, in quel caso si chiama: terza persona limitata multifocale (sconsiglio l’uso eccessivo);
          3. No, o meglio, no! 🙂
          Naturalmente si può giocare un po’, come appunto inserire delle lettere scritte in prima persona, in un romanzo scritto in terza limitata. 😉
          Calze a rete… :Q___________

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            • Il faccino è un maialozzo che sbava. 🙂
              Perché si rischiano due effetti: confondere il lettore; limitare l’identificazione del lettore con il personaggio principale, che poi è il motivo per cui si usa la terza persona limitata soggettiva.
              Se il lettore è costretto a saltare da un personaggio all’altro, alla fine non si identifica con nessuno. Di personaggi ce ne possono essere anche un milione, ma di “eroe”, da che mondo è mondo, ce ne dev’essere uno solo.

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  9. Io adoro la terza persona e dato che ho tanti protagonisti, mi sembra la scelta migliore e meno opinabile.
    Terza persona onnisciente o soggettiva credo di usarli entrambi a seconda delle necessità.

    Che commento striminzito… fa niente va 😀

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  10. mmmh sinceramente non saprei, spero di no… uso la terza persona questo è sicuro, ma forse tu sapresti identificarle meglio di me 🙂

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  15. Eppure c’è un piccolo problema, dal mio punto di vista (e gusto, in effetti).
    Quando si tratta di storia in prima persona, mi si impone la visione della vita/situazione da un unico punto di vista che, molto spesso capita, è vissuta da chi mi sta largamente sulle balle.
    Per intenderci: amo perdermi nella psicologia dei personaggi. Ogni personaggio recita la propria parte, vivendola sulla propria pelle. Ma quando mi si impone di vestire la pelle del protagonista/narratore, ecco che quella pelle mi comincia a stare stretta (sarà che anche io sono oversize, ma vabbeh…).
    Non concordo con le scelte del protagonista; Non accetto le risposte del protagonista; Non/Non/Non. Diventa un tripudio di sbattimento di palle, perché, solitamente, i protagonisti sono donne uterine che sarebbero da prendere a ZAMPATE tra le gengive da qui all’eternità. Ovvero: sono la versione mestruata in menopausa di Dora l’Esploratrice. Di fatto, una versione ben diversa da ciò che reputo una Donna e soprattutto Me Stessa.
    Cosa ancora più disturbante, è che (magari) sarebbe stata una storia lodevole e gradevole, se non fosse stato per l’Io Ego Sum Abbas Cucaniensis.
    Cosa fare, allora?
    Cercare una storia in terza persona. E la cosa più assurda? È che se la rosa dei personaggi è ben descritta anche a livello psicologico, mi fa innamorare. Se non al personaggio centrale, mi capita di affezionarmi, solitamente, al co-protagonista. Od a Supporting Cast.
    Sarà che non ho manie di protagonismo? ^_*

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    • Ciao, Alessandra. Benvenuta nel mio blog. A chi, mi chiedo, non è mai capitato di trovarsi in disaccordo con le scelte del personaggio? Non credo abbia nulla a che fare con la “persona” cui è narrata la storia: terza o prima non fa alcuna differenza. Forse la prima ne evidenzia maggiormente la psicologia. Ma anche una terza focalizzata fornisce la stessa dimensione psicologica. Semmai è una strategia del narratore, quella di far fare al protagonista delle scelte che fanno dire al lettore: «Io avrei agito diversamente». Se non fosse per questo, verrebbe meno la tensione che tiene incollati alla pagina per la curiosità di vedere dove conducono le strade imboccate dal personaggio. Ricorda: senza problemi, non esiste la storia. Ecco perché, ad esempio, nei romanzi rosa i due innamorati non riescono mai a dirsi in faccia ciò che provano l’uno per l’altra, o a dare le spiegazioni che sarebbe così semplice fornire immediatamente senza che la loro assenza trasformi la relazione in una guerra di sentimenti. Prova a immaginare i protagonisti di Orgoglio e pregiudizio: se Elizabeth e Darcy fossero immediatamente onesti l’uno con l’altra e anche con se stessi, rispetto ai sentimenti che provano, non esisterebbe il romanzo.

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