The Incipit, come tutto ebbe inizio


incipit

…quando la stretta dev’essere calda e forte

La prima impressione, quella sbagliata, è l’unica che conta. Se da bambini vi hanno detto il contrario, be’, si sbagliavano oppure mentivano. L’inizio del vostro romanzo, racconto, curriculum vitae, relazione, saggio o qualunque cosa stiate scrivendo, è fondamentale. È il vostro bigliettino da visita; lo date in mano all’interlocutore nella speranza che abbia interesse ad approfondire la conoscenza. Dareste un bigliettino logoro, vuoto o privo di personalità? Sì, certo che lo fareste. Ecco perché dovete continuare a leggere.

L’incipit parte dal titolo

Questa è una verità che dovete tenere a mente. Con incipit spesso si intende le prime dieci, venti righe di un romanzo. Alcuni, come il King, addirittura i primi venti caratteri. Non è così. L’incipit è un’introduzione che ha il compito di ben predisporre il lettore, attraverso la quale si comunicano immediatamente l’argomento, il taglio e la voce di ciò che si andrà a narrare.

Tutto questo non inizia con il testo, ma molto prima; dal titolo. Non a caso gli autori latini con incipit intendevano proprio il titolo e il nome dell’autore. Il titolo ha il compito di catturare l’attenzione, certo, ma allo stesso tempo di comunicare l’argomento. Non solo, ma anche l’emozione che si cercherà di trasmettere. Un esempio?

Stagioni diverse 

Una raccolta di quattro novelle scritte da Stephen King nel 1982. Le novelle si intitolano:

  • L’eterna primavera della speranza – Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank;
  • L’estate della corruzione – Un ragazzo sveglio;
  • L’autunno dell’innocenza – Il corpo;
  • Una storia d’inverno – Il metodo di respirazione.

Cosa comunica il titolo? Il titolo scelto da Stephen King è geniale perché in sole due parole comunica già tutto. Ad esempio comunica che i racconti saranno presumibilmente quattro, come le stagioni. Poi, con quel diverse, ci comunica che saranno storie fuori dal comune, verso le quali aspettarsi qualcosa di insolito – come dargli torto visto che da esse sono stati tratti ben tre adattamenti cinematografici! Infine, l’uso di stagioni, non ci fa pensare a semplici racconti horror – come ci si dovrebbe aspettare dall’autore in questione – ma qualcosa di più raffinato, classico (leggi: narrativo). Quindi: quattro racconti classici insoliti; struggenti come vuole la tradizione classica, ma allo stesso tempo inquietanti. Facciamo un’altro esempio?

1Q84

Un romanzo di Murakami Haruki, scritto nel 2009. Sembra una formuletta matematica, o chimica se preferite, piuttosto che il titolo di un romanzo. Eppure questi tre numeri separati da una consonante comunicano più informazioni – e emozioni – di un qualsiasi altro titolo lungo magari quattro o cinque parole.

Innanzitutto ci comunica una certa affinità con 1984 di George Orwell (un omaggio forse?). Quindi ci dobbiamo predisporre a una narrazione allo stesso tempo classica e distopica. Poi ci comunica che la storia sarà insolita, al punto che non avremo mai letto niente di simile prima: proprio come il titolo. Infine ci comunica che l’autore è una volpe, perché è in grado di inventare qualcosa di fuori dal comune capace, però, di attirare la nostra attenzione. Cosa mai potremmo chiedere di meglio a un romanzo?

La scelta di un buon titolo quindi, è l’incipit per eccellenza: sta sulla copertina, attira l’occhio del lettore e lo spinge ad aprire il libro, scegliendolo fra decine di altri. Solo se il titolo sarà convincente riuscirete a spingere il lettore a leggere il vero e proprio incipit della storia. Ma voi siete scrittori, di sicuro non avrete problemi a scegliere le parole giuste.

Dal Molteplice all’Unico

Fino al momento precedente a quello in cui cominciamo a scrivere, abbiamo a nostra disposizione il mondo (…) il mondo dato in blocco, senza né un prima né un poi, il mondo come memoria individuale e come potenzialità implicita (…). Ogni volta l’inizio è quel momento di distacco dalla molteplicità dei possibili: per il narratore è l’allontanare da sé la molteplicità delle storie possibili, in modo da isolare e rendere raccontabile la singola storia che ha deciso di raccontare.
Italo Calvino – “Appendice” alle “Lezioni americane”.

Lo dice bene Calvino, prima che la storia inizi tutte le potenzialità sono a nostra disposizione. Da questo crogiolo di infiniti mondi dobbiamo sceglierne uno solo, ma non stiamo parlando di storie. La storia è già stata scelta quando ci siamo predisposti alla scrittura. Stiamo parlando di inizi. Infinite, infatti, sono le possibilità di iniziare una storia, ma solo uno sarà l’inizio della vostra. Non solo, ma dal molteplice è necessario trarre l’Unico, vale a dire: l’eccellenza.

Quell’unico è già inciso nella vostra mente dal momento stesso che avete scelto una storia. Se avete deciso di narrare una storia (rispondendo al perché? narrarla), allora ci sarà un motivo che vi spinge verso di essa. Quel motivo è la pianta da cui trarrete il frutto più prezioso: l’incipit. Se siete narratori onesti, se la storia che avete scelto l’avete scelta per un motivo preciso, allora l’incipit è già scritto; dovete solo metterlo su carta. Altrimenti? Sceglietene un’altra, una che vi piaccia davvero; con cui avete un’affinità particolare.

Exordium, Incipere o Proemium?

I latini esordivano cercando di ben predisporre l’interlocutore con la captatio benevolentiae – che, non ce ne voglia il buon Umberto, è un’invenzione della retorica latina. Serviva ai giuristi latini per difendere il loro committente davanti al magistrato. Serviva a farsi ben volere e a mettere in buona luce l’imputato (come diremmo oggi). Nel romanzo lo trovo sgradevole, se è troppo diretto. Indispensabile invece, se con essa si intende semplicemente: mettere in una favorevole disposizione il lettore. Che poi è il fine di ogni incipere.

Incipit, è anch’esso un termine latino (incipere, appunto – incominciare) e non è altro che la prima parola della formula latina che introduceva il titolo (il titolo!) di un opera. Era l’apertura di uno scritto, la presentazione. Avete notato che le pergamene non avevano copertina? Da allora l’uso del termine si è esteso, inglobando anche un significato “promozionale”.

Il proemium (proemio) invece è il preambolo. Vale a dire la premessa, cioè la prefazione o l’introduzione di una trattazione (comprese le opere di qualsiasi genere). Nell’uso moderno si tende a far scrivere la prefazione a qualcun’altro. Personalmente non amo la prefazione, non la leggo mai; saltandola a piè pari. Trovo sia inutile, spesso noiosa, a volte deleteria, quasi sempre auto-celebrativa. Per me: da evitare.

In medias res

Nella costante ricerca del grado zero (privo di ogni riferimento simbolico – Barthes) siamo giunti, con il genere “romanzo”, al medias res. Incipere in medias res significa iniziare nel mezzo. Si può intendere in molti modi e si può attuare in altrettanti; non ne farò un elenco. Il mio tempo è limitato e la vostra pazienza, pure lei lo è. Ad ogni modo, andando spediti, in medias res si intende solitamente nel mezzo della narrazione – quindi c’è un prima che ancora non si conosce -, ma anche nel mezzo dell’azione, cioè senza un esordio (il grado zero); vale a dire senza preoccupazioni per ciò che è stato prima.

Può sembrare un po’ confuso e spiegarlo dettagliatamente nel contesto in cui ci troviamo non è possibile. Basti dire che a un certo punto è sorta la necessità di tagliare gli incipit descrittivi che introducevano a una storia (il famoso: nacqui e crebbi, di David Copperfield – Charles Dickens), tanto caro a una certa letteratura “antiquata”, per entrare immediatamente nel vivo delle cose.

Quindi non significa necessariamente cominciare il romanzo con un dialogo o un’azione, anche se questi, in genere, sono i modi più pratici e diretti con cui realizzarlo. Può anche significare cominciare la narrazione esponendo immediatamente il cuore del problema. Ricordate l’incidente di cui si va tanto parlando? Cioè quella “scusa” grazie alla quale ha inizio una storia? Ebbene, introdurre, pur descrittivamente, l’incidente scatenante è un modo per iniziare in medias res.

La scelta, come al solito, tocca all’autore e dipende dal suo gusto personale, dalla moda del momento, ma anche dal genere di storia che ci stiamo cingendo a narrare. Se stiamo scrivendo un romanzo che rientri nei generi: thriller o azione; cominciare con un’azione (appunto) è un buon modo di incipere.

Più è sottile la storia che vogliamo raccontare (in termini psicologici) più sottile dovrà essere l’introduzione. Non inizieremo in questo caso con un’azione, ma con la narrazione del problema; entrando immediatamente nel cuore della storia. Il punto non è sorprendere il lettore dopo averlo tenuto all’oscuro dell’oscura verità, ma svelare subito quest’ultima in modo che il lettore per tutto il libro si chieda: come farà?, piuttosto che: cosa succederà?.

Mi fermo qui, anche se potrei proseguire per ore. Lo spazio è limitato e ci sono ancora un paio di cose da dire.

A proposito del prologo

Il prologo ha la sua origine nel teatro greco. Potrei fare una trattazione sul teatro greco visto che è stato il mio oggetto di studi universitari (ben 3 esami con un 29, un 30 e un 30 e lode), ma non ne ho il tempo e non è oggetto di questo post. Per quanto interessante, mi limito a dire che il teatro greco non era intrattenimento, ma aveva uno scopo sia religioso, sia pedagogico; trovando la sua origine nei canti e nei balli rituali antichi, molto simili a certe manifestazioni africane che ancora oggi si posso vedere in qualche parte del mondo.

Nel momento in cui dall’aia a cerchio di è passati al teatro, la rappresentazione è stata dotata di una struttura e si è introdotto il prologo. Questo non era altro che un monologo, recitato da un attore solo sul palco, che aveva il compito di introdurre l’azione attraverso l’enunciazione degli antefatti. Attenzione alle parole: monologo, antefatti e azione. Qui, a mio avviso, abbiamo l’incipit per eccellenza, ma ci torniamo più tardi.

Il prologo è sparito per molto tempo, sia a teatro, sia nella narrativa. Tuttavia, proprio in questi anni, sta tornando di moda; almeno sul romanzo. Forse vuole essere un modo per trovare un’originalità che non si riesce a tirar fuori da altre cose. Non saprei. Rimane il fatto che il prologo è deleterio, nonché inutile esattamente come la prefazione, se non lo si sa usare con intelligenza. Se usiamo il prologo allora deve esserci un motivo, deve essere una scelta giustificata.

L’incipit che userò io

Come sapete sto scrivendo un romanzo. In questo romanzo l’incipit è una faccenda articolata. Con incipit infatti non si deve solo intendere le prime frasi di una storia, ma qualcosa di più complesso. Il titolo, ad esempio, ma anche tutto ciò che predispone alla lettura. Nel mio caso l’incipit sarà articolato nel seguente modo: un titolo, un prologo e una prima scena che inizi in medias res.

Perché questa scelta? Per una questione estetica, stilistica e di intreccio narrativo. Non voglio svelare troppo, mi limito a dire che il prologo – come da tradizione – sarà l’introduzione a un’azione, in cui si dichiara l’intenzione – cioè il senso – del romanzo.

Il prologo è un buon modo per inserire in testa la scena finale di una storia per poi raccontare come ci si è giunti con l’uso di un lunghissimo flashback (analessi), ma non sarebbe un vero prologo, perché non direbbe nulla degli antefatti.

Un altro modo di usare il prologo è quello di introdurre con esso un’anticipazione su quello che accadrà, come se il narratore onnisciente avvertisse il lettore, attraverso un flashforward (prolessi). Anche in questo caso tuttavia non ci troveremmo davanti a un vero e proprio prologo, perché non si direbbe ancora nulla degli antefatti.

L’unico modo corretto (puro) di utilizzare un prologo è quello di introdurre con esso una scena antecedente alla storia, ma che abbia in sé una nota di anticipazione sul futuro. Questo sarà il modo in cui userò io il prologo.

La scena iniziale, quella che segue il prologo, sarà narrata in medias res, cioè nel mezzo di un’azione – poiché sarà una sorta di thriller -, ma anche nel cuore di una storia. Ho detto troppo. Mi fermo qui.

Domandina di fine post

Da tradizione: qual è il vostro incipit ideale?

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Note

Qualche tempo fa una lettrice mi ha chiesto di scrivere un post a proposito dell’incipit (Lisa Agosti), questo post è frutto di quella richiesta; quindi è tutta colpa sua.

12 Comments on “The Incipit, come tutto ebbe inizio”

  1. In effetti è un po’ difficile capire quanto duri l’incipit. Per me sono al massimo i primi due paragrafi, se abbastanza lunghi da farmi capire se m’interessa o meno la storia.

    1Q84: io dal titolo non avevo capito l’affinità con 1984 🙂

    Il proemium, però, almeno in particolari romanzi, non sarebbe male.

    Comunque concordo che ogni tipo di incipit, prologo, introduzione, ecc., vada usata solo se necessario.

    Non un incipit ideale, lo studio in funzione della storia.

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    • Il punto è proprio questo: ogni storia è una storia a sé; merita una riflessione a parte, caso per caso. La consonante Q in 1Q84 è un riferimento a “Question mark” (punto interrogativo), capirlo dando una sola occhiata al titolo non è così immediato, certo, però il titolo attira indubbiamente l’attenzione del lettore in libreria e questo, in fondo, è lo scopo.

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  2. Io con i titoli me la cavo davvero male, soprattutto con quelli in italiano. Con gli incipit, invece, piano piano sto migliorando: l’importanza di un buon inizio è stato un grosso peso, in passato, ma adesso ho trovato un mio modo di presentare le mie storie. Mi piace cominciare con un dialogo: penso sia un buon biglietto da visita per i miei personaggi – visto che il loro modo di parlare è una delle cose che curo di più.
    Come lettrice, invece, mi va bene qualsiasi tipo di incipit: narrato, dialogato, in media res o a partire da Adamo ed Eva. A volte è sufficiente una sola riga per soggiogarmi, altre vote non basta una pagina: questo per dire che non ho un’idea precisa di quanto debba essere lungo un incipit. Si può essere folgoranti in tre parole come in un paragrafo. O si può fallire nei medesimi range.
    Mi stanno bene gli incipit che chiariscono subito l’intento, così come mi piacciono anche quelli criptici. Sono curiosa ed è facile attirare la mia attenzione. Poi, naturalmente, la promessa contenuta nell’incipit va mantenuta, ma di solito concedo una chance anche a storie con partenze che arrancano purché qualcosa – un personaggio, una situazione, una particolare ambientazione – mi facciano ben sperare.
    Insomma, come lettrice sono meno esigente che come scrittrice.

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      • No, affatto ^^
        Non essere esigente tanto da essere intransigente non significa sciropparsi la qualunque. Di libri ne abbandono parecchi: tutti quelli che deludono le mie aspettative anche dopo che ho concesso loro una seconda possibilità per stupirmi 😉

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  3. La lunghezza ballerina dell’incipit crea qualche dubbio, in effetti. Io considero i primi tre o quattro paragrafi, più o meno, ma cerco di non sparare troppo alto per non creare dei cali di tono subito dopo. Sono convinta che il lettore non apprezzerebbe, per via della famosa “promessa”. Anch’io nella narrativa non amo le parti preliminari non necessarie, e prediligo l’entrata in medias res. Le premesse e il contorno preferisco spargerli qua e là, perché mi piace anche quando leggo scoprire una tessera del puzzle alla volta.

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  4. Ti ho fatto lavorare sodo per scrivere questo post! Quante cose ci sono da imparare e da tenere in considerazione per un incipit! Mi sento un po’ sgomenta.
    Non avevo mai pensato che il titolo facesse parte dell’incipit, e su un qualche manuale avevo letto che per incipit si intendono le prime cinque pagine… ero proprio fuori strada!
    Grazie mille per questo ottimo lavoro analitico, preciso e chiaro, mi metto subito al lavoro! 🙂

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  5. Io non ho ancora deciso quale scena userò come incipit. Nelle prime due sezioni del romanzo, ci saranno due piani temporali alternati. La terza, invece, sarà focalizzata sui giorni nostri.
    Ho scritto una scena che mi piace moltissimo (quella che cito nel commento all’ambientazione) e che potrei utilizzare come incipit, tuttavia ho una perplessità legata al possibile inquadramento della storia che potrebbe derivare se decidessi di collocarla all’inizio. Il protagonista è mostrato a vent’anni, nel giorno in cui prenderà una decisione che condizionerà tutto lo svolgersi delle vicende. Il mio timore è che, se usassi questa scena all’inizio del romanzo, la storia potrebbe essere scambiata per un “young-adult” anche se non lo è. Forse sarebbe meglio,dunque, mostrare i personaggi già cresciuti, anche solo per poche pagine, per poi tornare indietro… cosa ne pensi? 🙂

    P.S. Anche io stasera o giovedì probabilmente scriverò un post che mi hai chiesto tu, sulla terza persona limitata 😉

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    • Non conoscendo la storia ti posso essere di poco aiuto. Diciamo che potresti mettere all’inizio una scena, se non finale, comunque molto vicino alla fine della storia, per poi raccontare tutto a ritroso. Danto per dirne una…
      Aspetto il tuo articolo allora! 🙂

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